Tre anni di unioni civili. La storia di Laura, “sposa” a 70 anni – L’intervista

«Quel giorno lo dedico a tutti coloro che avrebbero voluto sposarsi ma non hanno fatto in tempo a vedere riconosciuto questo diritto perché intanto sono morti»

Tra le prime unioni civili a essere celebrate nel 2016, anno di approvazione della legge, c’è quella della presidente dell’associazione Di’ gay project, Maria Laura Annibali che a 71 anni ha potuto sposare la sua Lidia, dopo oltre 17 anni di fidanzamento. «Quel giorno lo dedico a tutti coloro che avrebbero voluto sposarsi, ma non hanno fatto in tempo a vedere riconosciuto questo diritto perché intanto sono morti».


Come è cambiata la sua vita con l’approvazione della legge sulle unioni civili?


«Sono cambiate molte cose. Prima non potevamo avere voce in capitolo rispetto alla coppia, all’identità. Diverse persone hanno avuto il coraggio di metterci la faccia politicamente. Io sono un’attivista anziana, quando mi sono sposata avevo 71 anni, un po’ tardino insomma.

Uso il termine “sposa” perché come dovremmo chiamarci? Le unite? Fino a quando avrò forza combatterò per il matrimonio ugualitario. E comunque è falso che le unioni civili sono state poche perché sono state celebrate in numero ragguardevole».

Con l’entrata in vigore della legge Cirinnà non ha perso tempo e si è subito sposata.

«Sì, l’ho voluto fare subito, volevo essere sicura di essere la prima sposa più grande di Italia (ride ndr). E poi quel giorno era così bello. Indossavamo uno smoking banco con cui poi siamo andate al matrimonio di Imma Battaglia ed Eva Grimaldi».

Quale è stata la vostra storia?

«Dopo 17 anni di amore ci siamo sposate. Alcuni di questi anni sono stati difficili, specie per Lidia che era ancora sposata e in attesa di divorzio, una situazione da equilibrista. Dunque lei ha dovuto viverli nascondendosi. Io no perché ero già attivista e nel direttivo del Di’ gay project, prendevo parte a tutte le manifestazioni, dunque io non mi nascondevo da tempo.

All’inizio non volevo saperne di Lidia perché io ero stata con un’altra ragazza per 23 anni, era la mia compagna di scuola. All’epoca, a 57 anni, ero convinta che dopo di lei non avrei voluto nessun’altra al mio fianco. E mi ero messa l’anima in pace. Avevo le mie amicizie, la politica, avevo appena finito il mio terzo documentario».

E poi?

«Lidia si è dichiarata pochi giorni dopo avermi incontrata al Gay village a Testaccio. “Non ci pensare proprio”, le dissi, “Vengo da una storia molto dolorosa”. Poi invece sono caduta tra le sue braccia. Una notte mi telefonò alle 3 chiedendomi di scendere: c’era una sorpresa per me vicino al mercato rionale, di fronte a casa mia.

Non scesi, mi sembrava una follia uscire alle 3 di notte. Ma il mattino seguente uscì di buon’ora. Questa signora aveva preso vernice e pennello e in piena notte, rischiando di essere fermata dalla polizia, aveva scritto: “Laura, ti amo appassionatamente e perdutamente”. Io sono stata una donna molto amata, ma nessuno aveva mai fatto nulla di simile per me».

E vi siete trovate.

«Ci siamo trovate pur essendo molto diverse. Lidia poi ha cominciato a seguirmi molto nella mia attività politica. Per esempio, nonostante lei odi il caldo, sabato mi accompagnerà al pride di Roma. E con me ha camminato 5 chilometri alla manifestazione di Verona, in concomitanza con il congresso delle famiglie».

Avete mai subito discriminazioni, episodi di intolleranza?

«Sì, assolutamente. Una volta proprio di ritorno dal pride di Roma. Alla fermata del bus siamo state insultate. Uno straniero che parlava discretamente l’italiano ha cominciato a dirci parole poco edificanti. In quella occasione ci ha aiutato una suora. Ha cercato di tranquillizzare noi e ha azzittito lui.

Poi anche a bordo del bus, ci sono stati momenti poco piacevoli. Una signora diceva “Ma cos’è ‘sta pagliacciata? Che sono ‘sti froci?”. A un certo punto le ho detto: lei lo sa signora che dice delle cose che non può dire in pubblico? Io sono un’omosessuale e non glielo permetto. Lei ci sta insultando. Nel corso della discussione l’autobus era pieno zeppo ma ci fosse stata anche solo una persona che ci ha dato una mano e ci ha difese.

Un’altra volta, all’ospedale San Giovanni, in attesa di Lidia, chiacchieravo nella sala d’attesa. “Lei chi sta aspettando?”, mi hanno chiesto. Mia moglie, ho risposto. Tra i presenti ho trovato non sguardi brutti, ma sicuramente interessati; e abbiamo cominciato a raccontarci la vita personale. Ma c’era un uomo a cui davo fastidio, ogni volta che aprivo bocca usciva dalla sala.

La mia empatia per le donne mi ha causato un guaio. Quando la moglie di quest’uomo è uscita dalla visita, aveva un volto così addolorato che io all’infermiera ho osato chiedere: sta soffrendo? Non l’avessi mai fatto. L’uomo mi ha urlato in modo volgare “fatti i fatti tuoi che ci hai rotto le scatole per ore ed ore”. Questa è stata la seconda volta che sono stata insultata per la mia identità di genere.

Ma di casi ne ho sentiti tanti. Conosco per esempio una badante la cui signora, sapendo che lei è lesbica, in casa ripete continuamente quanto le fanno schifo le lesbiche e i gay».

Quali sono le prossime battaglie da combattere nel campo dei diritti civili? Servono altre leggi?

«Combattiamo per tre cose: il matrimonio ugualitario, la legge contro l’omofobia e l’adozione del figlio della partner nelle famiglie arcobaleno affinché tutte e due le madri siano riconosciuti tali.

Secondo lei questa legge avrebbe potuto vedere la luce se fosse stata votata in questo momento storico?

«No, non sarebbe passata. Siamo state a un tavolo Lgbtq con il sottosegretario Spadafora che con noi è stato molto onesto: “Scordiamoci l’adozione perché la Lega non è contro, di più”. L’unica cosa verso cui ha mostrato apertura è stata la legge contro l’omofobia. Ad ogni modo, il popolo è molto più avanti della politica, siamo molto più accolti rispetto a 10, 20 anni fa.

Le nostre sono scelte politiche di gran coraggio perché, come diciamo noi, “ci mettiamo la faccia” e può capitare il giorno che incontriamo un matto che solo per il fatto che ci abbiamo messo la faccia può darci una randellata o una coltellata. È un rischio che va messo in conto. Ma io mi sono nascosta per 20 anni, non mi voglio più nascondere».

Vuole lanciare un appello in questo giorno?

«Venite ai pride, venite a sostenerci. Più la gente e i malpensanti vedranno quanti siete a sposare la nostra crociata più si renderanno conto della loro ignoranza e di tutta quella cattiva aggressività contro persone che pagano le stesse tasse che pagano tutti e rispettano le leggi che devono rispettare tutti, ma che nel 2019 ancora non si meritano pari diritti.

Ad ogni modo, sempre un grande ringraziamento a chi si è battuta per farci avere almeno questo iniziale riconoscimento. Tutta la mia attività passata, presente e futura la dedico a tutti coloro che avrebbero voluto sposarsi ma non hanno fatto in tempo a vedere riconosciuto questo diritto perché intanto sono morti».

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