Cresce il valore dell’oro, mai così alto da sei anni: ma è davvero un bene rifugio?

Quali sono le caratteristiche dei beni rifugio? Sono così sicuri da mettere al riparo i risparmiatori dalle crisi economiche globali? Ecco una guida per capire meglio qual è il vero potenziale finanziario del metallo giallo

Continua la salita del prezzo dell’oro, che sfonda la soglia dei 1.400 dollari l’oncia. Il 25 giugno il metallo prezioso è arrivato a sfiorare anche i 1.420 dollari. Ed è record da sei anni a questa parte.


In un periodo di tensioni geopolitiche, dalla guerra dei dazi con la Cina al recente inasprimento delle sanzioni statunitensi contro l’Iran, gli investitori si fidano meno dei mercati finanziari e scelgono come asset i cosiddetti beni rifugio.


Ma può l’oro, essere ritenuto ancora un bene rifugio? In realtà la questione non è così scontata e investimenti sconsiderati nei lingotti possono mettere seriamente a rischio i risparmi delle persone.

La volatilità del metallo prezioso è direttamente proporzionale all’andamento dell’economia globale: non potendo governarla, convertire i propri risparmi in un oggetto non spendibile direttamente espone il proprietario di una certa ricchezza allo stato d’animo di un mercato altamente fluttuante.

Cos’è un bene rifugio

Per bene rifugio (in inglese commodity) si intende un bene o un oggetto che ha un valore intrinseco. A differenza di un titolo di Stato (per esempio un Btp), che altro non è che un prestito di denaro in cambio di interessi (cedole periodiche), il bene rifugio corrisponde a un oggetto reale che esiste e che ha comunque un valore in quanto tale. Opere d’arte, orologi, case, possono essere considerati beni rifugio.

Alcune valute di Paesi economicamente forti e stabili sono spesso considerate beni rifugio, soprattutto se poco soggette a svalutazioni nel corso del tempo. Però il loro valore non corrisponde effettivamente a un oggetto prezioso, a una sostanza reale, e per questo la definizione di bene rifugio va considerata di maglia larga. Anche perché un bene rifugio è tale finché le persone ritengono che quell’oggetto abbia un valore.

Può essere una convenzione, può essere un bene che effettivamente in quell’arco temporale è utile all’umanità. Ad esempio oggi lo è il coltan, “l’oro azul” del Venezuela, minerale importantissimo per la produzione delle batterie degli smartphone. Ma se domani si scoprisse una nuova tecnologia, un materiale con una miglior resa, nessuno avrebbe più interesse nelle riserve minerarie venezuelane.

La fuga dai mercati

Un’altra caratteristica indispensabile affinché un bene si guadagni la dicitura di “rifugio” è il perdurare del suo valore nel tempo. In periodi di turbolenza dei mercati, le commodities dovrebbero conservare il proprio valore, anzi, aumentarlo. Gli investitori, abbandonando gli asset e gli strumenti finanziari, dovrebbero dirottare i propri risparmi sull’acquisto di questi beni. Con l’aumentare della domanda, anche il prezzo dell’oggetto di desiderio dovrebbe salire.

Ed effettivamente è quello che sta succedendo all’oro in questo momento: i titoli di Stato Usa, con lo scoppio delle tensioni con l’Iran e sulla scia della battaglia commerciale con la Cina, sono scesi verso la soglia cruciale del 2,0125%. Così, i fondi d’investimento si sono gettati sui titoli legati alle materie prime. L’Spdfr Gold Trust, uno dei più grandi strumenti finanziari legati all’oro, ha registrato l’incremento giornaliero più importante della sua storia: +4,6% degli asset in gestione, l’equivalente di 1,6 miliardi di dollari nella sola giornata di venerdì 21 giugno 2019.

L’oro di carta

Quando si parla di oro come bene rifugio, tuttavia, oggi non si può più pensare soltanto al lingotto custodito nelle cassette di sicurezza della banca o sotto le piastrelle della cucina di casa. Molto utilizzati in ottica d’investimento sono gli Etc (Exchange Traded Commodities), certificati rilasciati da istituzioni finanziarie che creano pacchetti d’investimento legati all’andamento dell’oro e di altre materie prime preziose. Ma, acquistando uno di questi titoli, non si compra nessun pezzo di oro: è un contratto di carta e, come tale, ha dei rischi.

Quando qualcuno sceglie di destinare i suoi risparmi in un bene rifugio lo fa perché, per quanto quel bene possa perdere valore, resta pur sempre un oggetto reale, più o meno prezioso: il suo peculio è legato indissolubilmente alla fisicità del bene, anche se dovesse crollare il sistema finanziario globale.

Eppure quando oggi si sceglie di investire in oro, lo si fa sempre di più attraverso questi sistemi finanziari, che diversificano il pacchetto di metalli, ma di fatto non forniscono all’investitore un corrispettivo materiale, un sacchetto di pietre preziose per concretizzare l’esempio. Con una grave crisi economica globale, di questo investimento al risparmiatore resterebbe soltanto una mail o un contratto di carta.

Un rifugio traballante

Un rifugio è tale se ha delle basi solide. E la solidità di un investimento si constata dal perdurare nel tempo del suo valore. Per questo non è propriamente corretto definire l’oro come bene rifugio. Nel corso degli anni, il potere d’acquisto dei detentori del metallo giallo è stato soggetto alla volatilità del prezzo del bene, rendendo altalenante la ricchezza dei possessori.

Analizziamo la serie storica che va dal 1980 al 1999. Il 31 dicembre 1980 l’oro fissa il suo prezzo massimo a 589,75 dollari l’oncia. Il 30 settembre 1999 il prezzo sul mercato del metallo era di 251,95 dollari l’oncia. Cosa significa? Che in vent’anni l’oro fisico ha perso ben il 57% del suo valore, un’enormità ragionando in termini finanziari. Al netto dell’inflazione, le perdite reali e non solo nominali sono state altissime per chi ha investito in oro durante quel ventennio.

È vero, oggi il prezzo sul mercato dell’oro ha fatto registrare il valore di quasi 1.420 dollari l’oncia: avremmo registrato un ottimo guadagno rispetto al prezzo di vent’anni fa (pur sempre calmierato dal tasso d’inflazione e dalla mancanza di cedole periodiche derivanti da altre forme d’investimento legate al prestito del denaro).

Ma bisogna guardare gli andamenti ballerini del metallo con una visuale un po’ più ampia: l’oro, in forte crescita durante l’ultima crisi finanziaria, aveva toccato quota 1.826,80 dollari l’oncia il 13 settembre 2011. Dopodiché, l’assestamento e vari rimbalzi e ribassi fino al valore odierno (-406,8 dollari l’oncia): un’altalena che rende il metallo giallo un bene, sì, ma non così stabile da considerarlo propriamente un bene rifugio.

Leggi anche: