Mafia nigeriana, maxi blitz al Nord. Cosa sono i «Maphite» e la «Bibbia verde»

Chi sono i Maphite? Da dove ha origine questa mafia nigeriana e come opera nel territorio

Il 18 luglio 2019 mattina all’alba una vasta operazione della Procura della Repubblica di Torino, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ha portato alla perquisizione di decine di appartamenti e all’arresto di 14 persone accusate per spaccio di sostanze stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Nello stesso momento del blitz torinese anche a Bologna ci sono stati altri 19 arresti su ordine della Direzione distrettuale antimafia bolognese. Non si tratta di una qualsiasi operazione siccome gli arrestati e i circa 50 indagati fanno parte del «Cult Maphite», la mafia nigeriana.


Che cos’è il «Cult Maphite»

Maphite sta per «Maximum, Academic, Performance, Highly, Intellectuals, Train, Executioner» ed è l’acronimo dell’organizzazione criminale nigeriana coinvolta nelle perquisizioni e negli arresti avvenuti tra Bologna e Torino. La loro storia è molto curiosa perché nasce dalle università nigeriane.

L’acronimo di «Maphite» nella «Bibbia verde»

La genesi e l’arrivo in Italia

Maphite arriva in Italia nel 2011. Nascono in Nigeria negli anni sessanta e settanta all’interno delle Università sotto forma di associazioni universitarie, definite «confraternite», ma un decreto governativo del 2001 conosciuto come «Secret cult and Secret Society Prohibition Bill» le aveva dichiarate fuorilegge e la terminologia Maphite venne sostituita pubblicamente con altre sigle.

Alcuni dei simboli delle «confraternite» nigeriane.

Nel 2011 viene costituita una «confraternita» chiamata GCA, acronimo di «Green Circuit Association», con sede legale a Bentivoglio in provincia di Bologna. Proprio nel capoluogo emiliano nasce il primo nucleo della «famiglia Maphite» italiana che copre le regioni Emilia Romagna, Toscana e Marche. Le altre tre presenti sul territorio nascono successivamente come la «Vaticana e Latina» operante in Piemonte, la «Rome Empire» con sede a Roma e la «Light Sicily» operante nelle due isole.

Un momento dell’operazione ‘Disconnection zone’ condotta dalla Polizia di Stato contro la mafia nigeriana, Palermo, 11 luglio 2019.

Questa è la storia di una delle famiglie nigeriane, ricordiamo la presenza dei «Vikings», degli «Eiye» e dei «Black Axe» di cui si è parlato per degli scontri avvenuti tra di loro a inizio 2019. Tutte hanno lo stesso background, nate sempre in ambiente universitario sotto forma di «confraternite».

La «Bibbia verde»

Una sorta di decalogo, un insieme di regole che i membri «Maphite» devono rispettare per accedere nell’organizzazione, per uscirne (solo con la morte), come proteggerla e tanto altro.

Un momento della conferenza stampa al termine dell’operazione contro la mafia nigeriana, Torino, 18 luglio 2019. ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

All’interno del decalogo viene citata «Cosa Nostra» per diversi motivi, tra i quali il voler imitare la famosa organizzazione criminale italiana e non entrarci in alcun modo in conflitto.

Il giro di affari e le vittime

Tra le regole principali della «Bibbia verde» c’è quella di creare business, di fare cassa. In che modo? Con estorsioni, però sempre all’interno della comunità nigeriana. A dover pagare il «pizzo» sono ad esempio gli african shop, luogo dove è solito trasferire denaro all’estero. Nel momento in cui il negoziante nigeriano si rifiuta o non deposita la percentuale sul guadagno quotidiano, ottenuto legalmente, il negozio viene «acquisito» dai «Maphite».

Il mercato della prostituzione dei «Maphite» dove le prostitute nigeriane dovevano pagare il «pizzo» alla famiglia. Se non controllate direttamente pagano tramite le «Madame».

Lo stesso vale per lo sfruttamento delle prostitute, dove le «Madame» non iscritte all’organizzazione devono consegnare una percentuale del ricavato delle prostitute sotto il suo controllo. Stesso discorso ancora per il mondo del traffico di droga, tutto legato esclusivamente alla comunità nigeriana.

Spacciatore nigeriano appartenente ai «Maphite».

L’unico episodio riscontrato di attività ai danni di «extranigeriani» durante le indagini, al di là della clonazione delle carte di credito, riguarda un attacco nei confronti di un locale pakistano che venne contestato dagli anziani siccome l’atteggiamento dei «Maphite» è quello di non «emergere» e rimanere «nell’ombra».

Informatica e carte di credito

Sono stati riscontrati anche reati legati alla clonazione di carte di credito, attraverso appositi siti online con tecniche di phishing, con le quali acquistavano quantità elevate di materiale tecnologico e profumi che accumulavano e rivendevano.

I dati delle carte di credito vengono rubati online dalla mafia nigeriana.

Gli acquisti avvenivano soprattutto da fornitori non italiani e originari dell’est, in particolare cinesi. Raramente, ma succede, acquistano un prodotto in Italia riuscendo a rintracciarli facendo partire le indagini. La Polizia aveva seguito una quindicina di carte di credito clonate arrivando a riscontrare dei conti correnti all’estero, uno di questi in Argentina e il suo titolare è stato arrestato proprio durante l’operazione bolognese. A loro dire ci sono una ventina di sezioni all’estero.

Le gerarchie, le sezioni e vivere nell’ombra

La struttura è piramidale. In cima c’è il «Don» seguito dal suo vice, poi seguono i vari «Chairman», coordinatori, gli addetti alla cassa e così via fino ai soldati e i semplici affiliati. Le famiglie sono divise in forum con diverse competenze provinciali e cittadine. Sia le famiglie che i forum sono divisi in sezioni a seconda delle competenze. Ogni sezione ha un nome: la sezione della difesa, denominata «Taurus», si occupava di ottenere le armi e di rispondere alle offese, mentre quella che si occupava del riciclaggio del denaro e della gestione della cassa viene chiamata «Mario Monti».

I «Maphite» desiderano vivere in modo sommerso, senza entrare in conflitto sia a livello di business che fisico con altre famiglie e organizzazioni criminali, anche extra nigeriane. Anche se la «Bibbia verde» dice che se un «Maphite» viene ferito un avversario deve essere ucciso non conviene alla famiglia procedere in tal senso, il rischio diventa apparire e farsi notare al pubblico. Tutto, alla fine, deve rimanere all’interno della comunità nigeriana stessa. Nel momento in cui c’è un conflitto cercano di evitare di attirare l’attenzione della Polizia. In quel caso preferiscono le vie «diplomatiche» facendo intervenire il «Don».

I riti tribali di iniziazione

Nel mondo sotterraneo dei «Maphite» sono stati riscontrati solo dei riti di iniziazione che in qualche modo ricordano quelle delle confraternite americane o i «battesimi» delle mafie nostrane.

L’iniziazione avviene a seguito della presentazione di un membro anziano. Il nuovo adepto viene portato all’interno di un’abitazione di fronte ad altri due membri anziani bendato e denudato per essere poi picchiato perché, secondo la «Bibbia verde», deve subire delle violenze per poter essere «fortificato» in vista delle possibile guerriglie con le fazioni contrapposte. Inoltre, nelle mani del nuovo adepto venivano bruciate delle carte, sempre per «fortificarlo».

Quando si entra a far parte dei «Maphite» se si domanda all’adepto chi «lo ha fatto uomo» lui deve rispondere il nome della famiglia e la sua data di nascita diventa quella dell’iniziazione, che diventa una sorta di «battesimo».

Cannibalismo? I corpi smembrati

Nel corso del 2018 erano circolate diverse falsità legate alla tragedia di Pamela Mastropietro, la ragazza morta e fatta a pezzi a Macerata da un nigeriano. Si è parlato di cannibalismo rituale, dove – secondo qualcuno, incluso politici ed «esperti» – i carnefici della ragazza le avrebbero divorato il cuore e il fegato seguendo un presunto rito voodoo della mafia nigeriana. Alla fine le autopsie smontarono queste dicerie. Le indagini che hanno portato al maxi blitz sono state supportate anche da collaboratori di giustizia e infiltrati nigeriani all’interno dei «Maphite»: nessuno di questi ha riferito attività e riti legati al cannibalismo.

Fenomeni di «smaltimento» dei corpi di esseri umani viene raccontato da un fuoriuscito della famiglia «Eiye», oggi collaboratore di giustizia, a PresaDiretta: i corrieri africani che portavano al loro interno ovuli nello stomaco e che non riuscivano ad espellerli dal loro corpo venivano operati da dottori africani. A questi interessava soltanto salvare la droga mentre il corpo del corriere veniva poi smembrato a piccoli pezzi di carne trasportabili dagli altri membri del clan con l’obiettivo di spargerli a piccole dosi nelle campagne dove ci sono i cani abbandonati.

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