Addio spiagge libere: in Italia comandano gli stabilimenti e una giornata al mare costa sempre di più

La porzione del litorale senza stabilimenti, bar e ristoranti va diminuendo in tutto il Paese. Lo denuncia Legambiente nel suo rapporto del 2019

Ci sono sempre meno spiagge libere in Italia. È questa la conclusione dell’ultimo rapporto di Legambiente sulle spiagge. Colpevoli la cementificazione e l’assenza di norme che disciplinano il rapporto tra spiagge libere e concessioni demaniali, non soltanto per gli impianti balneari ma anche per i circoli sportivi, bar, ristoranti.


Le coste occupate dagli stabilimenti

I dati sono impressionanti. In media circa il 42% delle coste sabbiose italiane è occupato da stabilimenti balneari – oltre 50 mila in totale. Ma in alcune regioni la percentuale è ancora più alta: 69,8% in Liguria, 67,7% in Campania, 61,8% nelle Marche, 51,7% in Toscana. 


Se poi il calcolo viene fatto per determinati comuni, anziché per una regione intera, le percentuali raggiungono picchi del 90%. Come nel caso di Rimini (90%) o di Forte dei Marmi (93,7%). Ad Alassio sono 95 gli stabilimenti balneari, che occupano oltre 6 km su 7 totali di litorale. 

Inquinamento

Le aree balneabili si restringono ulteriormente se teniamo conto sia delle modalità con cui l’accesso alle spiagge viene interdetto – a Ostia nel Lazio è stato costruito un ‘lungomuro’ di 12 km di lunghezza dove l’accesso alla spiaggia è negato – ma anche dell’inquinamento. 

Oggi in Italia in circa il 10% delle aree costiere è interdetta la balneazione per ragioni di inquinamento. Tra le coste dove risulta interdetta la balneazione figurano al primo posto Campania (25,8 km) e Calabria (22,8). In molti comuni non ci sono inoltre i necessari controlli per verificare che le spiagge libere non siano relegate a porzioni di costa di “Serie B”.

Grafico tratto dal rapporto Legambiente

Il vuoto normativo: un triste primato

L’italia è l’unico Paese in Europa che non stabilisce una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Alcune regioni sono intervenute in questo senso: è il caso della Puglia che ha fissato un limite per le spiagge libere pari al 60%. Ma in 5 regioni – Friuli Venezia Giulia, Veneto, Basilicata, Toscana e Sicilia – non esistono norme di questo genere.

Negli altri Paesi europei non funziona così. In Francia per esempio l’80% del litorale deve rimanere libero e le concessioni hanno una massima durata di 12 anni. In Spagna la proroga delle concessioni è soggetta a un rapporto sull’impatto ambientale. Una differenza che potrebbe diventare ancora più problematica nel momento in cui la competizione per le concessioni venisse allargata anche agli altri Paesi Ue, come previsto nella direttiva Bolkestein dell’Unione europea.

Gli affari d’oro degli stabilimenti

Tanti permessi, tante concessioni e grandi profitti. Legambiente denuncia il basso costo dei permessi rispetto alle entrate (in aumento) grazie a un rincaro dei prezzi. Oggi una giornata al mare costa in media 26 euro a persona. Secondo i dati relativi al 2016 lo Stato incassava poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari attorno ai 15 miliardi di euro annui. Insomma, il calo nelle spiagge libere, oltre a limitare la libertà del cittadino, non frutta molto allo Stato.

Grafico tratto dal rapporto Legambiente

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