Scioperare per il clima serve? Sì, manifestare contribuisce a cambiare le norme sociali

Le norme sociali che oggi troviamo scontate sono traguardi raggiunti da altri giovani in altri “scioperi scolastici”

In vista dell’imminente summit sul clima alle Nazioni Unite, previsto il 23 settembre, in molti si staranno chiedendo a cosa serva scioperare per il clima, a parte suscitare l’interesse di una organizzazione internazionale, dove tanti diplomatici esprimeranno le loro argomentate opinioni durante la giornata.


Anche l’utilità di un fenomeno virale può essere sottoposta a verifica – con tutti i limiti del caso – da parte dei ricercatori, ed è quanto è successo. Lo studio di cui trattiamo è stato pubblicato sul Journal of Environmental Psychology e mostra come questo genere di manifestazioni potrebbe smuovere i «fattori psicologici più importanti» per mobilitare le persone nella lotta ai cambiamenti climatici, proprio il genere di problema di cui accennavamo in un recente articolo.


Cosa smuove le persone?

Da una parte infatti ci sono la comunità scientifica e gli addetti ai lavori, che nelle migliaia di stazioni meteorologiche sparse nel mondo misurano e certificano l’aumento delle temperature; dall’altra invece ci sono tutti gli altri, singoli individui che hanno una diversa percezione del fenomeno, spesso distorta dai luoghi comuni.  

La ricerca si è svolta in Australia, dove recentemente il cambiamento climatico è stato riconosciuto come un’emergenza sanitaria. A un ampio campione di persone è stato chiesto quanto erano disposte a fare per contribuire. I risultati ottenuti sono stati integrati a quelli di altri studi dove vengono suggeriti diversi fattori che influenzano la volontà ad agire nelle persone:

  • fattori socio-demografici;
  • conoscenza dei cambiamenti climatici;
  • esperienze personali di eventi meteorologici;
  • valori morali.

I ricercatori hanno concluso che le variabili più significative sono invece tre:

  • affetto;
  • inefficacia della risposta di mitigazione;
  • norme sociali.

La prima variabile riguarda quanto i cambiamenti climatici sono percepiti come spiacevoli; la seconda si riferisce al pessimismo con cui guardiamo alla possibilità di fare qualcosa di efficace; infine le norme sociali, divise in «descrittive» (quanto le persone importanti per te stanno facendo) e «prescrittive» (quanto queste persone si aspettano da te). 

L’importanza dell’effetto di aggregazione

I ricercatori suggeriscono che proprio manifestazioni di questo tipo possano contribuire a far capire a sempre più persone la reale entità del fenomeno. L’effetto di «aggregazione» andrebbe quindi ben oltre l’esempio individuale.

Da soli è difficile pensare di poter fare qualcosa, mentre partecipare a un evento più ampio e – perché no – anche vagamente ribelle, come l’atto “marinare la scuola” per un giorno, aumenta la possibilità di promuovere le nuove norme sociali alle persone che ci stanno attorno, come quando i nostri genitori protestavano nelle Università per difendere i diritti delle donne o politiche meno repressive.

Oggi certi comportamenti che prima erano accettati vengono percepiti come maleducati, bigotti o reazionari, proprio in virtù del fatto che a un certo punto qualcuno ha deciso di scendere in piazza e manifestare, per lo più pacificamente; aderire a degli scioperi; ispirare summit di organizzazioni internazionali, eccetera.

C’è ancora tanto lavoro da fare, ma non possiamo certo dire che queste iniziative non abbiano sortito alcun cambiamento in norme sociali che oggi potrebbero addirittura sembrarci scontate.

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