In Evidenza ENISiriaUSA
SCIENZE E INNOVAZIONEIntervisteNucleareRicerca scientifica

L’ultimo esperimento del Cern sulle lacune dei grandi misteri della fisica: a che punto sono gli scienziati

28 Settembre 2019 - 08:34 Juanne Pili
Cosa sperano di trovare i fisici rompendo le particelle? Lo abbiamo chiesto al fisico teorico Andrea Idini

In un recente seminario tenutosi al Cern di Ginevra sono stati presentati i risultati dei dati raccolti nel 2017 nell’ambito dell’esperimento «NA62». Questa sigla che sembra uscita da un film di spionaggio o di fantascienza, sta a indicare uno dei tanti sforzi compiuti dai fisici per mettere alla prova il Modello standard, ovvero la migliore spiegazione di come funziona alla base l’Universo che ci circonda. Come avrete intuito non si tratta di una passeggiata. E tanto per non indurre a confusione fin dall’inizio: non è stato scoperto ancora niente che abbia cambiato le nostre conoscenze sulla Relatività e sulla Meccanica quantistica. Ma potrebbe succedere. Il fisico teorico nucleare Andrea Idini, professore associato all’Università di Lund, spiega a Open perché questo genere di esperimenti è importante nello studio dell’Universo.

Cosa è successo esattamente al Cern

«L’esperimento era iniziato nel 2016 – precisa Idini – Si è trattato di quel che noi definiamo una “run”, ovvero un giro di acceleratore e una presa dati, lunga qualche mese, e in quel caso è stato visto uno di questi momenti molto rari: un canale raro del decadimento del “kaone”. Hanno poi proseguito nell’esperimento del 2017, da cui è stato poi tratto il seminario. L’ultimo evento risale al 2018, ma i dati non sono stati ancora analizzati. 

Al momento non è stato pubblicato uno studio. La statistica non è ancora sufficiente per farci della fisica sopra e trarre conclusioni. Quindi credo che aspettino di avere sufficienti eventi per poter fare un vero e proprio articolo. Questo richiederà sicuramente almeno una analisi dei dati del 2018. Si tratta di eventi estremamente rari, di quelli che possono capitare una o due volte all’anno, non si sa quindi quando avremo dati statistici sufficienti».

Come e perché vengono fatti questi esperimenti?

«Tutto parte dal Modello standard delle particelle – continua il professore – si tratta di ciò che sappiamo con sufficiente sicurezza a proposito di come sono fatti l’Universo e le particelle: in pratica tutto ciò che ci circonda. Quel che mostra il Modello è che esistono quattro forze fondamentali: gravitazionale; forte; debole; elettromagnetica. Le ultime tre sono a livello quantistico e hanno una rappresentazione comune nel Modello.

La forza gravitazionale sta un po’ a parte. Qui troviamo la maggiore incognita della fisica moderna. Si tratta di unificare la gravità e la Relatività generale col Modello standard. Tutto questo è molto difficile. Ci sono diverse idee ma non abbiamo alcun dato sperimentale per investigare la relazione tra la geometria dello Spazio-tempo e il Modello standard della Meccanica quantistica. 

Quel che si cerca di fare allora è condurre esperimenti che vadano a testare il Modello, spingendolo al limite, fino alla rottura, in modo da scoprire dove non funziona, così da iniziare a verificare in altre teorie oltre il Modello, per trovare quella che ci aiuterebbe a unificare le quattro forze (per esempio la teoria della super-simmetria o quella delle stringhe)».

Quindi “vince” chi riesce a “rompere” il Modello standard?

«Tutto il Cern-Lhc è fatto per compiere questo genere di esperimenti – spiega Idini – e ci sono diversi modi. Uno di questi è stato trovare il bosone di Higgs: se avesse avuto una massa diversa da quella che poi abbiamo trovato sarebbe stata una buona indicazione, ma non siamo stati “fortunati”, infatti ha confermato quel che ci aspettavamo. 

Ci sono altre cose che possiamo provare a fare. Per esempio trovare dei decadimenti rari, che nel caso avvenissero con una frequenza diversa di quanto ci aspettiamo, sarebbero la prova che qualcosa condiziona questo evento raro. 

Nel caso che trattiamo, i fisici hanno spinto i protoni a energie abbastanza elevate (ma non troppo). L’idea è di spingerli contro un bersaglio, quindi distruggerli, riducendoli ai componenti fondamentali, ovvero i quark. Questi poi si ricombinano in altri tipi di particelle. Il punto è che “ne vuoi il più possibile”. Solitamente se ne prendono pochi spingendo con l’energia, in questo caso si fa il contrario: se ne prendono il più possibile con quanta energia si possa essere in grado».

Cosa possiamo affermare oggi con certezza sulla base dei dati raccolti?

«Da questo esperimento in particolare quel che esce è che il Modello standard viene ancora una volta confermato – continua il professore – però la statistica è ancora poca. Si tratta di una conclusione preliminare. Il tipo di decadimento osservato dalla frantumazione dei protoni in “getti di quark”, consiste nel far decadere il kaone in pione, quindi una particella in un’altra particella formata da due quark, e una coppia neutrino/anti-neutrino. 

Questo è molto interessante per la dinamica del Modello standard perché è molto ben calcolato. Abbiamo infatti un mesone, quindi una particella “massiccia” formata da due quark, che si trasforma in un’altra particella massiccia, e quindi non succedono troppe cose, si tratta di un solo evento ed è estremamente raro. Se riuscissimo a vederne di più sarebbe una rottura del Modello. 

Quel che si è visto per ora è leggermente più di quel che ci si aspetta, ma ancora compatibile. L’incertezza è ancora grande».

Ci sono grandi aspettative anche sulla possibilità di capire come mai nell’Universo ha vinto la materia, mentre vediamo pochissima antimateria. Ed è un grande mistero come mai non si sono annichilite entrambe. Insomma, la grande domanda: perché esistiamo?

«Il kaone è una particella storicamente molto importante – spiega Idini – per gli studi su materia e anti-materia in particolare. Tutte le particelle sono generate attraverso delle simmetrie che vengono rotte o conservate; il kaone ha la grande particolarità di esistere in diverse “specie” (positivi, negativi o neutri), ma la sua particolarità è che quello neutro ha una anti-particella neutra a sua volta.

Quando abbiamo due kaoni neutri, questi si mescolano tra di loro e scambiano quark e antiquark, in questo modo apriamo una finestra nello studio della assimetria che osserviamo nell’universo, fra particelle e antiparticelle, dove la simmetria è ancora conservata».

Sullo stesso tema:

Articoli di SCIENZE E INNOVAZIONE più letti