La più grande base navale Usa sta affondando. La “colpa” è del riscaldamento globale

Nonostante l’innalzamento dei livelli del mare e il conseguente rischio di allagamenti, l’amministrazione di Donald Trump non ha un piano b, se non quello di espandere le attività navali nell’Artico

La marina statunitense ha un grande problema, piuttosto inusuale per un’organizzazione marittima delle sue dimensioni: troppa acqua. Il problema non è l’acqua in sé, ma il fatto che a causa del riscaldamento globale viene dirottata troppa acqua nei posti sbagliati. Uno di questi è la stazione navale Norfolk, un’enorme struttura nella Virginia sudorientale che con circa 80 mila militari, è la più grande base navale sulla terra, per popolazione.


Dalla base partono le navi e le portaerei che perlustrano l’oceano Atlantico, il Mar Mediterraneo e l’oceano Indiano. Ma, a partire dal maggio 2018, come parte della nuova strategia di difesa nazionale voluta dall’amministrazione di Donald Trump come deterrente nei confronti della Russia e della Cina, la marina ha annunciato che avrebbe allargato le sue operazioni anche all’oceano Artico. 


Si scioglie l’Artico, affonda Norfolk

L’aumento nelle temperature globali sta sciogliendo il ghiaccio polare, scoprendo nuove vie marittime, creando nuove vie d’accesso ai depositi di risorse naturali, tra cui il petrolio. Per contrastare le rivendicazioni russe e cinesi, la marina americana ha riattivato la sua seconda flotta, che era stata dismessa otto anni prima dall’amministrazione Obama; la base è alla stazione navale Norfolk. 

La sempre più grande vulnerabilità della stazione di Norfolk alle mareggiate, all’aumento nei livelli del mare, preoccupa alcuni ufficiali navali, tra cui il più importante oceanografo dell’esercito e un ex comandante di un’unità bellica (Expeditionary strike group) basata a Norfolk. Già oggi l’accesso ad alcune strade che portano alla stazione navale viene meno durante le alte maree. Entro il 2037, non sarà possibile accedervi per ben 50 giorni all’anno. Paradossalmente, è proprio lo scioglimento dell’Artico – che la Seconda flotta è chiamata a perlustrare – che sta creando nuovi problemi alla casa base. 

«Norfolk è un hot spot per i livelli marini», dice il contrammiraglio David W. Titley, in passato anche il principale oceanografo della marina americana, colui che ha dato vita alla Task Force per il Cambiamento Climatico nel 2009. «Quindi se io dovessi andare in una stanza segreta con dei pezzi grossi della marina, direi, “Ok, niente ca**ate. Probabilmente vedremo le temperature globali aumentare di 3 o 4 gradi questo secolo e se non troviamo un modo di togliere il CO2 dall’aria, probabilmente i livelli del mare aumenteranno dai 4 ai 6 metri. Cosa farà la marina americana se Norfolk finisce sott’acqua?». Titley è attualmente un professore di meteorologia al Penn State University, dove dirige la scuola del Centro per Soluzioni ai rischi meteorologici e climatici. 

«È sicurmaente ironico», dice il contrammiraglio (in pensione) Ann Phillips, ex comandante di un’altra unità bellica (Expeditionary Strike Group) a Norfolk, attualmente assistente speciale al Governatore del Virginia per la protezione e adattamento costiero. «La Virginia costiera è molto vulnerabile all’innalzamento dei livelli marini». Residente di Norfolk, Phillips dice che ci sono volte in cui anche le strade della città si allagano: eventi che la portano a pensare, cosa devo fare per proteggere al meglio la mia proprietà e la mia famiglia in futuro? Allo stesso modo, la Marine e il governo americano dovranno decidere, «Quali sono i costi e i benefici di prepararsi per gli allagamenti e l’innalzamento dei livelli del mare e in che modo possiamo usare al meglio i fondi federali per migliorare la nostra resilienza ambientale?».

Il negazionismo climatico della Casa Bianca

Questo tipo di ragionamenti non sono, ovviamente, molto apprezzati in una Casa Bianca dove il presidente insiste nel dichiarare che il cambiamento climatico è una «bufala cinese». «È un po’ come avere  avere un presidente che non crede nell’esistenza della Cina», afferma Adam Smith, deputato democratico dello stato di Washington e presidente della commissione parlamentare sulle forze armate. «Questo presidente non vive infatti un universo che si basa sui fatti».

ANSA / Segretario di Stato americano Mike Pompeo

Mike Pompeo, il segretario di Stato americano, non crede neppure lui nell’evidenza scientifica del cambiamento climatico. Nel 2010, quando Pompeo fu eletto per la prima volta al Congresso, i più grandi sponsor della sua campagna elettorale erano Charles e David Koch, i baroni dell’industria petrolifera i quali avevano speso centinaia di milioni di dollari per far eleggere ufficiali di governo favorevoli alla riduzione delle tasse e la deregolamentazione dell’economia, soprattutto nell’industria dei combustibili fossili. Pompeo è anche un cristiano evangelico che crede nel ‘Rapimento’, la profezia secondo la quale Gesù Cristo tornerà sulla terra per trasportare immediatamente tutti i veri cristiani con lui in paradiso, condannando i non credenti all’inferno – quindi perché preoccuparsi del cambiamento climatico?

A Maggio, Pompeo ha guidato una delegazione Usa a un summit del Consiglio Artico, un’organizzazione internazionale composta di otto nazioni che confinano con l’Artico, insieme ai popoli indigeni che risiedono lì. Gli Stati Uniti hanno impedito che nella dichiarazione finale venisse menzionato il cambiamento climatico. Ma Pompeo ha voluto sottolineare l’abbondanza e le opportunità per l’Artico nel «fortificare la propria sicurezza e la propria presenza diplomatica» degli Usa, dichiarando inoltre che «la riduzione nel ghiaccio marino apriva nuovi passaggi e nuove opportunità per il commercio».

Infatti, sette mesi prima del meeting del Consiglio Artico, gli Stati Uniti inviarono la portaeri USS Harry S. Truman e altre navi da guerra all’Artico, segnando la prima volta, dalla fine della Guerra Fredda, dell’invio da parte della marina americana di una portaerei al di sopra del circolo polare artico.

In seguito Richard Spencer, il segretario della Marina, annunciò che altri pattugliamenti nell’Artico erano programmati per il 2019. «Dobbiamo capire cosa vuol dire operare in questo ambiente» dove le basse temperature e i mari violenti danneggiano l’equipaggiamento e mettono in difficoltà il personale militare, aveva dichiarato Spencer al Centro per la Nuova Sicurezza Americana, un think tank di Washington, nel gennaio del 2019. 

Il proggetto a lungo termine della marina invece è quello di costruire una base per le operazioni artiche, forse sul Mare di Bering in Alaska. «È un area sulla quale dobbiamo focalizzarci, sicuramente», ha dichiarato Spencer. Nel frattempo, però, la Seconda flotta continuerà a pattugliare l’Artico dalla Stazione navale di Norfolk. E, come per tutte le ragioni costiere in questo pianeta che continua a riscaldarsi, l’innalzalmento dei livelli marini a Norfolk è appena cominciato. 

Questo articolo è stato realizzato in esclusiva per tutte le testate del progetto a cui ha aderito Open.online Covering Climate Now, una collaborazione globale di più di 250 media con lo scopo di rafforzare l’informazione sul cambiamento climatico. La versione originale è stata pubblicata sul The Nation con il titolo «The US Navy Has a Water Problem» (Dave Lindorff ).

Leggi anche: