250 persone uccise in strada: cosa sta succedendo in Iraq

Ieri, 29 ottobre, degli uomini mascherati hanno aperto il fuoco su un accampamento di manifestanti uccidendo almeno 18 persone e ferendone 800

Sono morte 250 persone in Iraq dal primo ottobre, giorno di inizio delle proteste per le strade di Baghdad e per quelle di molte altre città del sud del Paese. I manifestanti, che sono principalmente giovani, marciano insieme, indifferenti nelle loro rivendicazioni anti-governative, alle diverse appartenenze, etniche e settarie che hanno diviso il Paese per anni.


Ed è questa la loro forza: non sarà facile per il primo ministro Adel Abdul Mahdi e il suo governo contenere delle proteste che non sono coordinate da nessuna forza politica. Le autorità hanno introdotto un coprifuoco e imposto un blackout quasi totale di internet, ma soprattutto hanno usato pallottole e gas lacrimogeno contro i manifestanti.


Manifestanti a Piazza Tahrir, il 26 ottobre Foto: Epa

Martedì 29 ottobre degli uomini mascherati hanno aperto il fuoco su un accampamento di manifestanti uccidendo almeno 18 persone e ferendone 800. La polizia e il governo hanno negato l’accaduto, immortalato da numerosi video disponibili online. Parlando anonimamente ai media, le forze di sicurezza hanno però confermato il massacro. La missione delle Nazioni Unite in Iraq ha denunciato gravi abusi commessi dalle forze dell’ordine contro i manifestanti.

Perché protestano?

Il fattore scatenante è stato il licenziamento di un generale che si era distinto durante la guerra contro lo Stato Islamico e che era molto amato dalla popolazione. Le proteste sono però motivate da una più profonda rabbia nei confronti di un’oligarchia religiosa corrotta, un regime burocratico fallimentare e l’incapacità del primo ministro, Adil Abdul-Mahdi, di mantenere le sue promesse elettorali dopo un anno al potere.

Per le strade ci sono moltissimi giovani, cresciuti nei 16 anni che hanno seguito la caduta di Saddam Hussein. Quella che doveva essere una democrazia rappresentativa si è rivelata una giostra di abusi di potere e corruzione. Per questo, nonostante il petrolio rappresenti un’entrata da miliardi di dollari per l’Iraq, la qualità della vita della popolazione è bassissima, caratterizzata da una disoccupazione galoppante, un sistema sanitario allo sbando e una generale mancanza di servizi e infrastrutture. Quasi tre quinti dei 40 milioni di abitanti del Paese vivono con meno di sei dollari al giorno, come mostrano i numeri della World Bank.

Manifestanti in Piazza Tahrir il 18 ottobre Foto: Epa

La dimensione delle proteste all’inizio non era fuori dall’ordinario: a sconvolgere è stata la reazione delle autorità. Alcuni hanno attribuito la violenza della polizia al fatto che le manifestazione abbiano colpito nel segno. Molti partiti politici, poi, hanno legami con l’Iran e con milizie del posto: un retaggio dell’immediato post-conflitto, quando Tehran ha sostenuto la nuova maggioranza sciita, repressa dal regime di Saddam.

Molte di queste milizie sono state integrate tra le forze dell’ordine irachene e hanno giocato un ruolo fondamentale nella repressione dei manifestanti avvenuta in questi giorni. Questi corpi armati sono uno dei principali nemici delle proteste, perché rappresentano per i manifestanti l’ingerenza iraniana in Iraq.

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