Migranti, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca hanno violato il diritto internazionale? L’accusa del legale Ue

È quanto si legge nelle conclusioni dell’avvocata generale della Ue, Eleanor Sharpston, che proporrà il suo parere alla Corte di giustizia europea

Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo per la ricollocazione obbligatoria dei richiedenti protezione internazionale, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca non hanno adempiuto agli obblighi previsti dal diritto internazionale. È quanto si legge, scrive l’Ansa, nelle conclusioni dell’avvocata generale della Ue, Eleanor Sharpston, che proporrà il suo parere alla Corte di giustizia europea.


I no di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca

In risposta alla crisi migratoria che ha colpito l’Europa nell’estate del 2015, il Consiglio dell’Unione europea aveva infatti adottato due decisioni per aiutare l’Italia e la Grecia a gestire l’afflusso di migranti. Si trattava dei cosiddetti ricollocamenti, e l’Ue aveva fornito disposizioni dettagliate per il trasferimento rispettivamente di 40mila e 120mila richiedenti protezione internazionale. Solo che Slovacchia e Ungheria hanno respinto e contestato la legalità di una di tali decisioni. Posizioni rigettate il 6 settembre 2017 dalla Corte in una sua sentenza. Nel dicembre 2017 la Commissione ha poi avviato un procedimento di infrazione dinanzi alla Corte contro tre Stati membri – la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica ceca: la tesi è che abbiano violato gli obblighi sui ricollocamenti.


Il parere di oggi

Secondo il parere dell’avvocata generale Eleanor Sharpston, gli Stati membri non possono invocare le loro responsabilità per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna al fine di non applicare un atto dell’Unione valido con cui non sono d’accordo. Nel parere di oggi si ricorda, scrive ancora l’Ansa, che la legge dell’Unione europea fornisce allo Stato membro gli strumenti adeguati per proteggere i suoi legittimi interessi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico nei confronti di un richiedente specifico nel contesto di i suoi obblighi ai sensi del diritto dell’Ue. Il diritto dell’Ue non consente tuttavia esplicitamente a uno Stato membro di non rispettare tali obblighi. Inoltre, è possibile tutelare efficacemente gli interessi legittimi degli Stati membri a preservare la coesione sociale e culturale.

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