Elezioni in Spagna, i numeri dietro la vittoria a metà di Sanchez: cosa può succedere ora

Per superare l’ennesimo stallo, Sánchez dovrebbe fare appello all’astensione “strategica” dei partiti regionalisti. E mettere da parte i dissapori con Iglesias

A scrutini conclusi, il voto dei cittadini spagnoli restituisce al parlamento lo stesso, annoso problema degli ultimi quattro anni: un emiciclo estremamente polarizzato e un rebus di alleanze praticamente impossibile da sbrogliare. Il centrodestra, in ripresa, non può però governare: il crollo dei liberali di Ciudadanos non consente la formazione di una maggioranza stabile.


Dall’altra parte, il centrosinistra a guida Psoe tiene, ma non riesce a rosicchiare consenso dai partiti più radicali. L’impianto giovane della democrazia spagnola, sedimentatosi sul bipolarismo, mostra ancora il suo limite. Ad ogni modo, una panoramica sui risultati delle elezioni del 10 novembre può aiutare a capire come si sta evolvendo l’elettorato spagnolo e trarne spunti interessanti anche per l’Italia.


Bene l’affluenza

Si temeva un calo della partecipazione, dovuto proprio al ritorno alle urne dopo soli sei mesi. Ma la contrazione del -1,9% rispetto alle elezioni dello scorso 28 aprile è fisiologica quando il voto si ripete a stretto giro. Gli spagnoli che hanno cambiato idea e scelto di astenersi sono una piccola minoranza, indice che la partecipazione politica resta molto sentita in Spagna. L’affluenza, il 10 novembre, è del 69,9% e non si è ripetuto il tracollo del 2016, quando si tornò alle urne a sei mesi dalle votazioni di dicembre 2015: anche allora, la tornata elettorale non espresse un vero vincitore.

I primi non vincono

La storia si ripete e i socialisti non possono che prenderne atto. Forte degli scandali passati che hanno eroso il consenso dei popolari, il Psoe è diventato la prima forza politica in Spagna: se sei mesi fa i socialisti ottenevano il 28,7% dei voti, il 10 novembre fanno registrare un lievissimo calo dei consensi. Fermo al 28%, Pedro Sánchez resta il primo leader politico in Spagna, ma la sua posizione diventa sempre più scomoda.

Non solo perché il Psoe perde tre deputati, passando da 123 a 120, ma perché, adesso, non ha più scuse riguardo la formazione di un governo stabile. Nel partito, molti sostenevano che il ritorno al voto avrebbe dato una maggioranza più solida.

Invece, l’area di centrosinistra erode il suo consenso. Guardando ai possibili alleati, Podemos, nonostante la scissione interna che ha portato alla nascita di Más Páis, perde meno del previsto, ottenendo 35 seggi rispetto ai 42 della precedente tornata. Sommando i risultati, però, i due partiti maggiori del centrosinistra sono lontani dalla maggioranza assoluta di 176 seggi.

E a destra?

Forse l’unico vincitore che può dirsi soddisfatto senza condizionali è Vox, il partito di estrema destra: sei mesi fa la formazione di Santiago Abascal aveva espresso 24 deputati. Adesso diventano 52: un successo che, letto insieme al risultato dei popolari, rafforza il peso dei partiti che si contrappongono al Psoe. La prima forza politica del centrodestra si conferma il Pp, che guadagna 22 seggi rispetto alle scorse elezioni.

Il partito popolare, guidato dal 38enne Pablo Casado, ottiene 88 seggi e torna sopra quota 20%. Vox invece è al 14%. Da dove hanno attinto il consenso che lo scorso aprile era mancato? Bisogna guardare sempre nel campo del centrodestra per trovare il vero sconfitto che di queste elezioni: Ciudadanos. I liberali spagnoli, che lo scorso aprile erano la terza forza politica del Paese con 57 seggi, sono crollati e non sono riusciti a superare la soglia del 7%, esprimendo solo 10 deputati.

Suggestione Andalusia

L’obiettivo, mai dichiarato ma nemmeno smentito, di Pablo Casado, era replicare a livello nazionale l’esperimento di maggioranza che sostiene la giunta regionale andalusa, ovvero Pp, Vox e Ciudadanos. Se i liberali avessero tenuto, la Spagna avrebbe potuto avere un governo di centrodestra stabile. Ma con questi risultati, la somma dei seggi di Pp (88), Vox (52) e Ciudadanos (10) fa 150: troppo lontani dalla soglia della maggioranza assoluta di 176.

La prospettiva di Sánchez

È improbabile una grosse koalition alla tedesca tra Psoe e Pp: 208 deputati insieme sarebbero una buona base per dare agli spagnoli un governo duraturo, ma la cultura politica del Paese è poco incline alle coalizioni di scopo. Allora l’unico scenario possibile per scongiurare l’ennesimo ritorno alle urne appare una coalizione di centrosinistra. Psoe (120), Podemos (35) e Más Páis (3) sono lontani dalla maggioranza assoluta. Ma, come nel precedente governo, Sánchez potrebbe chiedere il supporto dei partiti espressione delle Comunità locali.

La stampella rischiosa

Il Psoe ha già fatto ricorso ai seggi dei partiti indipendentisti catalani. Ma furono proprio le forze politiche regionali a causare la caduta del primo governo Sánchez, lo scorso gennaio. Una coalizione di centrosinistra che includa i 13 deputati di Erc (sinistra catalana) e gli 8 di JuntsxCat (nazionalisti catalani) è numericamente possibile: 179 deputati in tutto, tre in più rispetto alla soglia della maggioranza assoluta. Ma per il Psoe, stringere un’alleanza organica con gli indipendentisti sarebbe un rischio troppo grande: la gran parte dei cittadini spagnoli è contraria alle istanze indipendentiste della Catalogna ed è un argomento che il centrodestra ha già usato per acquistare consenso.

I regionalismi

Con l’addio al bipolarismo, che aveva caratterizzato la politica spagnola per decenni, la frammentazione dell’elettorato inizia a incunearsi in formazioni di carattere territoriale. Nonostante negli scorsi anni siano nati Podemos, Ciudadanos e Vox, partiti non tradizionali, una buona parte dell’elettorato che non si sentiva più rappresentato dagli storici Psoe e Pp ha cominciato a sostenere piccoli partiti regionalisti. Le entità politiche espressione delle Comunità portano in parlamento un cospicuo numero di deputati: se ci sarà un governo, dovrà dare rilievo alle istanze locali per avere il sostegno necessario in parlamento.

Ipotesi astensione

Nelle norme spagnole che regolano la formazione di un nuovo governo, c’è tuttavia uno spiraglio affinché i cittadini non tornino a votare tra qualche mese. In Spagna non è necessaria la maggioranza assoluta dei seggi per dare vita a un esecutivo: se il premier, alla prima votazione, deve ottenere la maggioranza assoluta alla Camera per dare il via al governo, dalla seconda è necessaria una maggioranza relativa. Successe nel 2016, quando Mariano Rajoy riuscì a insediarsi grazie 68 “astensioni strategiche”, potrebbe ripetersi per Sánchez: se si trovasse un accordo tra Psoe, Podemos e Más Páis (158 seggi) e i partiti regionalisti si astenessero, il centrosinistra otterrebbe i voti sufficienti per superare il blocco di Pp, Vox e Ciudadanos, che si fermerebbe a 150 voti contrari.

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