Ex Ilva, il piano del governo per salvare l’acciaieria senza far fuggire i Mittal: previsti 1800 esuberi

Lo Stato italiano potrebbe entrare nella gestione attraverso Cassa depositi e prestiti e Snam. Il gruppo Arvedi di Cremona e Trieste e ArcelorMittal costituirebbero invece la parte privata

L’operazione è complessa, almeno quanto è ambizioso l’obiettivo: portare la produzione a 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, ridurre l’impatto ambientale dello stabilimento e procedere con 1.800 esuberi. Sempre meno dei 4.700 annunciati da ArcelorMittal una settimana fa, forse per alzare la posta della trattativa con lo Stato italiano. Il 9 e il 10 dicembre dovrebbero esserci una serie di incontri al ministero dello Sviluppo economico tra membri del governo, i Mittal e le parti in causa. Ma, scrive Repubblica, il piano a cui Stefano Patuanelli e Giuseppe Conte hanno lavorato è in una fase avanzata.


I quattro attori

Non è più sufficiente la sola permanenza dei Mittal per far andare in porto il piano. Serve l’ingresso di nuovi attori e il governo avrebbe pensato a un quartetto composto per la metà da privati e per metà da attori pubblici (o quasi). Gli indiani resterebbero nella gestione, ma il governo starebbe valutando l’ingresso di Arvedi, società che gestisce le acciaierie di Cremona e Trieste. Per quanto riguarda l’iniezione di liquidità, previsto l’ingresso di Cassa depositi e prestiti, azienda pubblica, e la controllata Snam, attiva nello stoccaggio e nella gestione del gas. La difficoltà, oltre a un eventuale veto di ArcelorMittal, è studiare una strategia per non incorrere in una procedura d’infrazione della Commissione europea per aiuti di Stato.


Gli obiettivi

Il gruppo Arvedi, che aveva perso, contro ArcelorMittal, la gara d’appalto per la gestione degli stabilimenti ex Ilva, sarebbe indispensabile per la realizzazione del piano: ha un know how che il gruppo franco-indiano non possiede sull’uso del gas al posto del carbone e per la costruzione di un altoforno elettrico. Il loro ingresso permetterebbe la sostituzione dell’altoforno 2, non ancora a norma, e l’utilizzo in generale di tecnologie più pulite. Un impatto ambientale più contenuto non si tradurrebbe, secondo il piano, in minore produzione: l’obiettivo resta arrivare a 8 milioni di acciaio all’anno. Per contenere i costi, infine, il governo vorrebbe ridurre gli esuberi a (soli) 1.800, anziché i 4.700 annunciati dai Mittal.

Costi e rischi

La cifra che renderebbe fattibile il piano si aggira intorno a 3,2 miliardi di investimenti da esperire in meno di cinque anni. Mezzo miliardo, stando alle stime di Repubblica, dovrebbe essere a carico dello Stato italiano. Stefano Buffagni, vice di Patuanelli, ha detto che in caso di esito positivo il Movimento 5 stelle sarebbe persino disposto a rimettere in piedi lo scudo penale. Ma perché il piano si realizzi, è necessario che nessuno dei quattro attori si sfili all’ultimo minuto, come successo più volte per Alitalia.

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