«Au revoir». La vita del 14enne Laurent prima di salire sull’aereo verso Parigi

Come Alan Kurdi, come Angie Valeria, come il ragazzo trovato con la pagella cucita nella tasca. Anche lui è diventato il simbolo di quelle vite spezzate in viaggi che di umano non hanno nulla

Tra il 2014 e il 2019 sono morti 15mila migranti, solo nel mar Mediterraneo. E poi ancora, nelle rotte che arrivano dall’Asia all’Est Europa, in quelle che attraversano l’Africa e in quelle che collegano il Sud America al Nord America.


Storie che si spezzano. Che ormai passano inosservate tra le pagine di cronaca, o nel nostro feed delle news. Storie a cui forse siamo troppo abituati per approfondire. C’è però ancora un’eccezione. Qualcosa che ancora ferma, anche se per un istante, la nostra attenzione. E sono le storie che si fermano quando sono appena inziate.


I bambini sono diventati i simboli del rischio che si corre, che si è disposti a correre, quando si lascia tutto e con poco o nulla si cerca di andare verso un altro continente.

È la storia di Alan Kurdi, morto a tre anni e trovato sulla dell’isola di Bodrum, è quella di Angie Valeria, la bimba morta abbracciata al padre nel Rio Grande mentre dal Messico cercava di arrivare agli Stati Uniti, è il ragazzo di 14 anni, senza un nome, trovato con una pagella cucita nella giacca dopo il naufragio dell’aprile 2015 a largo della Libia.

E ora fra queste storie c’è anche quella di Laurent Barthélemy Ani Guibahi, morto a 14 anni nel carello di un Boeing 777 che da Abidjan, nella Costa d’Avorio, era diretto a Parigi.

«Au revoir», poi più nulla

Laurent Barthélemy Ani Guibahi viveva a Yopougon, un sobborgo da oltre un milione di abitanti di Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio. Era nato il 5 febbraio del 2005, fra poco quindi avrebbe compiuto 15 anni.

Le autorità, comprese quelle governative, stanno cercando di ricostruire le ultime ore della sua vita. Come sia arrivato dalla sua scuola all’aeroporto, come abbia fatto a superare la sicurezza e arrivare sotto l’aereo e perché abbia deciso, proprio quel giorno, di scappare via, verso la Francia.

Laurent frequentava la terza media. A raccontarlo ad Anais Ginori, corrispondente di la Repubblica è suo padre, Marius Ani Guibah: «Lunedì mattina era il primo giorno di scuola dopo le vacanze. È andato in classe come al solito, ci siamo detti Au revoir».

Dopo quel saluto, più nulla. «Laurent non è tornato da scuola. Ci siamo allarmati, la sorella è andata a chiedere agli amici cos’era successo. Ci siamo rivolti al commissariato per denunciare la scomparsa, ma senza trovare sostegno da parte delle autorità. E allora abbiamo diffuso sui social un avviso con la foto di Laurent per tentare di ritrovarlo».

L’addio, in quella lingua che in Costa d’Avorio porta con sé il ricordo di un passato coloniale concluso, formalmente, il 7 agosto del 1960. Quella stessa lingua che ora i funzionari, i medici e gli ispettori di Parigi parleranno mentre si muovono attorno al corpo di Laurent.

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