Esistono due tipi di SARS-CoV2? Lo suggerisce un recente studio basato su 103 genomi

Forse il coronavirus si è distinto fin dagli inizi in due tipi: uno aggressivo e uno lieve

La National science review (rivista della Oxford academic), ha pubblicato uno studio, che se confermato potrebbe aiutarci a comprendere meglio le dinamiche dell’epidemia di Covid-19. Frutto dell’attività di ricerca di diverse università cinesi, pone molti quesiti sulle origini del SARS-CoV2 e le sue divergenze rispetto ai coronavirus della Sars e della Mers. 


Ciò che colpisce di più in questo studio è la scoperta dell’esistenza di due tipi (L e S), che si distinguerebbero sulla base di due singoli nucleotidi – ovvero, i mattoni di cui sono composte le sequenze genetiche – in determinate parti del Rna.


Gli scienziati hanno studiato 103 genomi del nuovo coronavirus, trovando questo genere di mutazioni in 149 punti diversi. I dati sono stati raccolti da tre database: Gisaid, GenBank e Nmdc.

Ricordiamo che questo genere di studi viene prodotto in tempi molto brevi rispetto al normale, vista l’urgenza. Si basano su dati frammentari e tempi diversi tra loro. Gli stessi ricercatori fanno notare che saranno necessari ulteriori studi per confermare con più chiarezza i loro risultati. 

Un tipo aggressivo e uno più lieve

Il tipo L deriverebbe da quello S, anche se non è del tutto chiaro agli autori come si siano differenziati e se questo è successo prima o dopo il salto negli umani. Ancor meno chiara è la ragione per cui queste piccole mutazioni abbiano potuto determinare due comportamenti opposti.

Il tipo L è più aggressivo, nei primi giorni dell’epidemia a Wuhan era quasi onnipresente rispetto al suo predecessore, trovato nel 96,3% dei casi, ma fuori dalla città scendeva al 61,6%. Ancora più interessante è quel che è successo in generale dopo il 7 gennaio: il tipo L infatti ha cominciato a decrementare attestandosi al 62,2%.

Perché il tipo S più debole sembra guadagnare terreno rispetto al tipo L? Gli scienziati non lo sanno spiegare con certezza e auspicano nuovi studi genetici ed epidemiologici. Tuttavia suggeriscono un’ipotesi: proprio le misure ferree prese dal governo cinese quando ormai l’epidemia non poteva più essere tenuta nascosta, sono state decisive, sottoponendo il tipo L a una pressione evolutiva notevole, mentre il tipo S che probabilmente provocava sintomi lievi – quindi più difficili da identificare – ha potuto diffondersi più facilmente.

Non mancano i casi in cui sono stati trovati entrambi i tipi in singoli pazienti, anche fuori dalla Cina. I ricercatori citano due esempi: un paziente americano diagnosticato il 21 gennaio e uno australiano registrato il 28 gennaio.

Foto di copertina: Pixabay | Coronavirus, riproduzione grafica.

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