L’esame di maturità, stravolto dalla pandemia di Coronavirus, è ancora in fase di revisione da parte del ministero dell’Istruzione. Per il momento le certezze si contano sulle dita di una mano: l’esame si farà, lo studente verrà valutato da una commissione interna e la prova consisterà principalmente in un “maxi-orale”. Sono tre invece i nodi principali ancora da scogliere: la data, il voto e la maniera in cui avverrà l’esame orale, se in persona a scuola oppure online.
La data
La data più papabile al momento sembra essere il 17 giugno. Il ministero dell’Istruzione è intenzionato a non posticipare la data di inizio: tutte le commissioni d’esame dovrebbero partire lo stesso giorno e finire entro il 19 giugno per una durata complessiva di tre giorni. La maturità per i privatisti invece è stata spostata a settembre.
Il voto
Il massimo dovrebbe essere 100 e il minimo 60. Ma che peso dare al “maxi-orale”? Le ipotesi sono due al momento. La prima propone di attribuire all’orale 60 punti, senza toccare il credito scolastico acquisito dagli studenti nel terzo e quarto anno. La seconda ipotesi invece vorrebbe attribuire 50 punti all’orale, portando quindi a 50 i punti per il percorso svolto nel corso del triennio.
La modalità
L’esame verrà affidato a commissioni interne composte da 6 professori e un presidente esterno, che sarà nominato dagli Uffici scolastici regionali. I commissari invece verrano nominati dai consigli di classe. Già il 30 aprile i candidati dovrebbero venire a conoscenza dei nomi dei sei commissari interni e il 21 maggio del presidente esterno. La domanda ora è: sarà possibile tenere l’esame nelle scuole? Il governo in queste ore sta lavorando per garantire la prova in presenza. Ma ci sono delle problematiche. Il numero chiave in questo caso è “10”, pari al numero massimo di persone che le aule delle scuole italiane possono ospitare in media, nel rispetto delle regole del distanziamento sociale.
In alternativa l’orale potrebbe svolgersi interamente online, ipotesi non senza controindicazioni. Sarebbe più difficile garantire la serietà dell’esame, visto che sarebbe più facile per lo studente ricevere suggerimenti senza che la commissione se ne accorga. E poi c’è anche una questione di carattere tecnologico sociale che riguarda l’accesso ai Pc e a una buona connessione internet, due beni che sono tutt’altro che scontati per molte famiglie italiane.
Prove generali di Fase 2? Dalle 19 di ieri sera, 21 aprile, il Selam Palace di Roma, occupato dal 2006 principalmente da rifugiati somali, eritrei, etiopi e sudanesi e circondato dal 5 aprile scorso da esercito e polizia dopo che hanno cominciato a registrarsi casi di positività al Coronavirus (53 in tutto, su quasi 500 persone), ha visto dileguarsi il cordone delle forze dell’ordine.
I cancelli, chiusi per 15 giorni – con gli abitanti che non potevano entrare o uscire, anche solo per la spesa – sono stati riaperti e stamane gli abitanti sono all’esterno dell’edificio. Dopo, dice qualche voce preoccupata da dentro, aver festeggiato la notte. Vicini. E «nonostante solo l’altro ieri siano stati portati via padre e figlio Covid positivi», dice l’associazione Cittadini del mondo, che dal 2006 opera all’interno del palazzo con un laboratorio socio-sanitario che, nell’era pre-coronavirus, era un appuntamento fisso ogni giovedì sera e che in questi giorni, insieme a Protezione Civile, elemosiniere del Papa e altre associazioni si è occupata di dare una mano per cibo e altre esigenze. Il Dipartimento di prevenzione della Asl Roma 2 smentisce che gli ultimi positivi siano stati portati via solo due giorni fa.
La fase 2 del Selam
Nella “zona rossa” della Capitale, dal 5 aprile scorso, sono stati effettuati 498 tamponi, dicono dal Dipartimento. «A tutta la popolazione». E sono stati registrati 53 casi di positività, spiegano. Bambini inclusi. «I positivi sono stati accompagnati fuori dalla struttura: tutte le persone che abbiamo considerato utile allontanare per impedire la diffusione all’interno sono state trasferite in residenze assistite e alberghi», dice Giuseppe De Angelis, direttore del dipartimento di prevenzione della Asl Roma 2. Qualcuno è stato ricoverato in ospedale: tra loro anche due mamme e i loro due bambini. Ogni volta che una persona viene portata via per positività, assicurano ancora dalla Asl, lo spazio in cui abita all’interno del palazzo viene sanificato.
«Al momento nel Selam Palace non ci sono persone positive», conferma anche la presidente del municipio Monica Lozzi secondo le informazioni che le ha fornito la Asl. Ora parte quella che «potremmo chiamare seconda fase, con il mantenimento del nostro camper per continuare la sorveglianza e quindi eventualmente i tamponi», dicono dal dipartimento della Asl.
Per la Asl la strategia ora è fatta di «distanziamento sociale, lavaggio delle mani, mascherine: così stiamo limitando il contagio all’interno», spiegano ancora dal Dipartimento. «Le operazioni, anche di mediazione culturale, ci permettono di ragionare con una sufficiente valutazione del rischio», dice Giuseppe De Angelis. «È l’unica cosa che possiamo fare, in una realtà come quella. Altre sono scelte alternative che non possono dipendere da noi. È ovvio che se avessimo la disponibilità di svuotare tutto il palazzo… Ma questo non è possibile. Abbiamo dovuto operare in un contesto particolare, fatto di tamponi procrastinati nel tempo, e visto come si è mossa la positività all’interno del palazzo. Non è possibile raggiungere il rischio zero in natura, ma abbiamo una ragionevole consapevolezza di qual è il rischio collegato alla circolazione del virus là dentro». Pronti, dice, a intervenire in caso di situazioni critiche. Si potevano evitare quei 53 contagiati? «Tutto quello che si fa certamente non basta mai», dice De Angelis. «Abbiamo fatto quello che abbiamo ritenuto utile e necessario nel momento in cui siamo stati nella condizione di capire che bisognava farlo».
Ora «rimaniamo come sorveglianza sanitaria, e le persone, per i motivi previsti oggi dai decreti del presidente del consiglio sulla gestione del contagio, potranno muoversi», dicono ancora dal dipartimento della Asl. Quindi anche tornare al lavoro, per chi un lavoro ce l’ha? «Certo. E come per qualsiasi cittadino italiano che ha dovuto giustificare la sua assenza per quarantena o autoquarantena, avranno giustificazioni, attestazioni, tutto quello che è previsto dalla legge», spiegano ancora dal dipartimento della Asl.
All’interno del Palazzo
Il palazzo ha accolto la “mancanza” di esercito e polizia con umori «molteplici»: «Alcuni sono esterrefatti, altri contenti, altri ancora dubbiosi; quello che li accomuna tutti è il non essere informati sul perché fino a oggi i loro cancelli avevano le catene e ora non le hanno più», dicono i volontari di Cittadini del Mondo.
Il fatto è che all’interno del Selam Palace è «impossibile mantenere la distanza sociale tra chi abita qui, c’è un bagno ogni 20 persone», raccontava solo pochi giorni fa Guendalina Curi, assistente sociale e volontaria dell’associazione Cittadini del Mondo. Né l’edificio «è stato sanificato», dicono ancora dall’associazione. «I tamponi non sono stati eseguiti in maniera sistematica – come diciamo da due settimane- e con risultati discutibili: un tampone eseguito di sabato, con risposta negativa comunicato martedì, potrebbe nel frattempo essersi trasformato in positivo», denunciano ancora. «E tra una serie di tamponi e l’altra sono passati giorni, nei quali i positivi, inconsapevolmente, prima di essere portati via, hanno avuto tutto il tempo di contagiare gli altri abitanti del palazzo».
Quale datore di lavoro, «da domani dopo aver saputo che gli abitanti di Selam erano in quarantena li farà tornare a lavoro senza che sia stata loro rilasciata nessuna certificazione di negatività? Chi era rimasto fuori dal palazzo al momento della chiusura da parte dell’esercito può ritornarvi tranquillamente? I bambini potranno ricominciare a frequentare senza nessun rischio il cortile e i luoghi comuni? Chi è stato ricoverato come Covid positivo ed è ormai guarito potrà rientrare senza pericolo di un nuovo contagio? Gli abitanti che fino a oggi hanno avuto bisogno del nostro sostegno da domani a cavarsela serenamente da soli?».
Chi ha deciso la zona rossa?
Un’altra domanda senza risposta, al momento, è: chi ha disposto la quarantena preventiva circondando il palazzo con un cordone di poliziotti e militari a presidio, giorno e notte, cancelli esterni chiusi e impossibilità per abitanti di entrare e uscire per 15 giorni? Un atto formale, spiegano dalla Cild, Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, non si trova. Per la Asl quella di mettere il cordone di esercito e polizia «non è stata una decisione che è in alcun modo venuta o dipesa da noi».
«Il presidente della Regione e il Prefetto sono dotati di poteri specifici per il contenimento della diffusione del virus che impongono la quarantena forzata o precauzionale rispetto a singoli individui o gruppi di persone», scrive l’avvocato Gennaro Santoro della Cild che ha presentato una serie di richieste di accesso agli atti (la procedura di accesso agli atti è sospesa causa Covid-19, ma non per ragioni “indifferibili”). Le ordinanze «vengono notificate all’interessato e vengono pubblicate»: il che «avrebbe anche l’utilità di poter rapidamente smentire false notizie che creano allarme sociale e costringono le forze dell’ordine, in una fase emergenziale, a dover sprecare tempo e risorse per contenere proteste spontanee generate, si ribadisce, da una cattiva informazione».
La risposta della Prefettura di Roma
La prefettura ha rigettato la richiesta di accesso agli atti della Cild, spiegando di non aver firmato alcun atto. A domanda diretta non risponde, ma «presumibilmente, il provvedimento non è stato adottato dalla Regione Lazio», dice ancora Santoro, che quando invece ha emanato provvedimenti restrittivi, come nei casi dei comuni di Fondi e Nerola, «gli stessi sono stati oggetto di pubblicazione sul sito della regione».
La richiesta di accesso agli atti a Questura e Protezione civile inviata il 20 aprile 2020 dalla Cild
«Non conoscere in maniera chiara gli obblighi di una misura limitativa della libertà personale, paragonabile agli arresti domiciliari, per di più comunicata non da un’autorità di pubblica sicurezza ma da un’autorità medica, rischia in primo luogo di rendere inefficace la misura», dice ancora l’avvocato. I volontari delle associazioni segnalano da tempo la mancanza di informazioni per gli stessi abitanti, con tutte le “aggravanti” di una situazione come questa: «Molti per esempio sono somali, ma un mediatore culturale somalo non c’è».
Quella del Palace, con l’impossibilità per gli abitanti di uscire ed entrare, rimanendo di fatto “reclusi” per 15 giorni dentro il palazzo senza – lamentano – avere informazioni ufficiali – è una situazione che sta monitorando anche il Garante del Lazio dei diritti delle persone private della libertà personale, Stefano Anastasia.
Ora la Cild e Santoro hanno inviato una nuova richiesta di accesso agli atti a Questura e protezione civile. «Se probabilmente pochissimi sono i dubbi circa l’opportunità di adottare provvedimenti straordinari rispetto ad una situazione potenzialmente esplosiva come quella del Selam Palace, dove esiste una situazione di promiscuità e affollamento che, al pari di quella che può registrarsi in un carcere o in una residenza per anziani o in altre residenze collettive, può dar luogo alla propagazione del contagio, ciò che non è chiaro è quali siano gli atti amministrativi con i quali è stata disposta la chiusura totale del centro e la presenza h24 delle forze armate e della polizia», chiosano dalla Cild.