Coronavirus, a rischio la salute mentale di medici e infermieri. «Bisogna reclutare gli psicologi per gli ospedali» – L’intervista

Il presidente del Consiglio nazionale dell’ordine degli Psicologi, David Lazzari: «Non si tratta di debolezza, ma di un aiuto fisiologico»

Restano rinchiusi a lavorare negli ospedali italiani anche oltre 12 ore al giorno, sigillati da capo a piedi da tute che impediscono la traspirazione. “Protetti” – quando possibile – da mascherine, occhiali e guanti, con la costante paura che un solo movimento sbagliato possa innescare un effetto domino nel contagio da Coronavirus (SARS-CoV-2). Una paura latente, anche dovuta all’impossibilità, spesso, di sapere se si è stati infettati o meno. Qualcuno li chiama “eroi”, altri “angeli”, ma sono anzitutto persone. Esseri umani che per via del loro lavoro, a prescindere dalla vocazione (o “missione”) personale, stanno affrontando una pandemia. E tra carenza di DPI, paure, senso di impotenza, turnazioni ai limiti dello stremo e senso del dovere e di responsabilità, infermieri e medici italiani sono sottoposti a un’elevatissima pressione emotiva e psicologica.


ANSA | Un’immagine dell’ospedale di Cremona

Oltre alle protezioni fisiche, gli infermieri e i medici necessitano anche di una “protezione psicologica”, spesso sottovalutata o data per scontata. Le richieste in tal senso talvolta vengono taciute a causa delle pressioni e delle aspettative esterne, nonché dalla mole di lavoro quotidiano. Il rischio è quello di sviluppare o esacerbare patologie psicologiche o psichiatriche che potrebbero danneggiarli – anche irreversibilmente – sul profilo personale, sociale e lavorativo. E a confermare tale quadro è anche il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP). Ne abbiamo parlato con il professor David Lazzari, che lo presiede.


Partiamo da due fatti di cronaca, professor Lazzari: in una sola settimana due infermiere impegnate nei reparti specialistici di Covid-19 si sono tolte la vita. Qual è lo stato psicologico degli operatori medico-sanitari innescato dall’inizio della pandemia?

«Gli operatori sanitari che sono in prima linea negli ospedali e nei reparti impegnati sul fronte dell’emergenza sanitaria da Covid-19 stanno subendo una fortissima pressione. In primo luogo perché operano – come denunciato da più parti – senza le necessarie dotazioni individuali e generali di sicurezza. I turni sono estenuanti e i riposi inadeguati. Senza contare l’aspetto umano, la pietas per i tanti deceduti che si spengono in solitudine. Nessuno può rimanere insensibile a cospetto dei reparti in cui si sta lottando contro il Coronavirus».  

In Italia esiste ancora uno stigma nei confronti delle persone con difficoltà o problemi di natura psicologica o psichiatrica. È possibile che il personale medico-sanitario possa sentirsi inibito dal chiedere aiuto a causa delle aspettative esterne e della mole di lavoro quotidiano?

«In Italia parlare di malessere psicologico è ancora troppo spesso un tabù. Molti sono restii a chiedere un aiuto, a rivolgersi a un professionista per iniziare una terapia. Nulla di più sbagliato perché prima si interviene e meglio è. Credo però che questa ritrosia sia meno diffusa anche tra gli operatori sanitari perché gli psicologi sono strutturalmente inseriti – anche se in modo inadeguato – nel Servizio Sanitario Nazionale, lavorano accanto a medici, infermieri, tecnici. La loro professione e la loro professionalità è ben conosciuta tra gli addetti ai lavori, anche se bisogna far capire che non si tratta di debolezza ma di un aiuto fisiologico».

Sul lungo periodo quali potrebbero essere le patologie psicologiche o psichiatriche che potrebbero insorgere nel personale medico-sanitario?

«Non abbiamo ancora un’indagine completa per l’Italia. Ma studi effettuati, ad esempio, su medici e infermieri a Wuhan, epicentro dell’epidemia cinese di Covid-19, e in altre regioni del Paese evidenziano elevato stress, sintomi di depressione, di ansia e di insonnia. Si tratta di situazioni già riscontrabili tra gli operatori del nostro Paese. Si tratta di situazioni che tendono a creare maggiori problemi nel tempo, quindi richiedono interventi precoci».

Medici e infermieri richiedono anche il vostro supporto. Come sta rispondendo a queste richieste il CNOP? Quali sono le iniziative specifiche per il personale sanitario?

«Con l’iniziativa #psicologionline, oltre 8.000 psicologi in pochi giorni si sono messi a disposizione di tutti i cittadini italiani (qui l’elenco dei servizi di supporto psicologico a distanza, suddivisi regione per regione e in continuo aggiornamento) che vivono una situazione di disagio. L’incontro tra utente e professionista avviene tramite una piattaforma ospitata sul sito dell’Ordine. Dopo un primo consulto gratuito può poi svilupparsi un percorso condiviso più ampio. A livello territoriale, gli Ordini degli Psicologi delle varie Regioni stanno sviluppando una serie di iniziative di supporto tarandole sulla base delle esigenze del contesto in cui operano».

«Inoltre, la nostra professione è da sempre impegnata sul fronte del volontariato e vi sono centinaia di realtà accreditate, pronte, disponibili a dare un aiuto a medici e infermieri. A livello territoriale questo supporto si sta sviluppando diffusamente. Accentrare a livello nazionale con uno sportello unico rappresenterebbe una complicazione. Quello che serve a livello nazionale, e ci stiamo lavorando, sono delle linee di indirizzo per avere procedure validate, omogenee e misurare gli esiti di quello che si fa».

L’Ordine nazionale e le divisioni regionali degli Psicologi sono in grado di rispondere a tali esigenze?

«L’Ordine si muove nel suo complesso con decine di iniziative nazionali e locali ma questo funziona per la popolazione in generale. Per la prima linea, le persone malate, colpite dal virus, i loro familiari, gli operatori, serve che siano le Autorità competenti a mobilitare in modo adeguato il personale psicologico del Sevizio Sanitario, a reclutarlo quando serve per garantire le necessità attuali».

Serve quindi un supporto anche agli psicologi per poter operare al meglio in questa fase di emergenza. Di cosa avete bisogno per poter svolgere il vostro lavoro al meglio?

«Non ci possiamo sostituire al servizio pubblico e alla Protezione Civile. Oggi la comunità professionale è impegnata, ma è anche in grave sofferenza, perché quasi tutti gli studi hanno chiuso e chi vive di libera professione ha bisogno di un sostegno economico. Stiamo anche facendo molte iniziative di supporto, informazione e formazione specifica ai nostri professionisti, è importante fare rete».

Come scritto nella lettera dei medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, viene sottolineato che «questa epidemia è una crisi umanitaria e di salute pubblica e richiede l’intervento di scienziati sociali, epidemiologi, esperti di logistica, assistenti sociali e psicologi». È d’accordo?

«L’emergenza sanitaria è senza dubbio anche una emergenza psicologica, sia tra gli operatori sanitari, sia tra i semplici cittadini. Ora la pressione è massima, ci sono stati dei suicidi tra gli infermieri, abbiamo registrato molti casi di disagio e crisi in corsia, ci sono i primi casi di grave malessere tra le mura domestiche. Tutti speriamo che l’emergenza sanitaria e il contagio finiscano presto, ma poi ci sarà uno strascico lunghissimo dal punto di vista emotivo e psicologico, anche per gli inevitabili problemi economici che assilleranno gli italiani».

È ipotizzabile la creazione di un piano specifico sul lungo periodo incentrato sulla salute mentale pubblica collettiva, eventualmente in coordinamento con l’Iss e con il ministero della Salute?

«Tra le varie misure straordinarie prese per sostenere il Servizio Sanitario Nazionale, il Governo ha previsto l’aumento degli psicologi in servizio. Di questo ringrazio il Presidente Giuseppe Conte e il Ministro della Salute Roberto Speranza. Il nostro contributo sarà determinante per sostenere tutte le figure del settore medico-ospedaliero provate da questa fase di durissimo lavoro. Allo stesso tempo saremo pronti negli ospedali, negli ambulatori, nelle Asl, negli studi professionali per aiutare tutti gli italiani a superare questa difficile fase». 

«Questa pagina drammatica della nostra storia nazionale ha insegnato a tutti una lezione indimenticabile: la centralità e l’insostituibilità del SSN. Ripartire dal suo rafforzamento è la scelta obbligata e vincente per garantire la salute anche psicologica degli italiani».

Lo “stressometro” del CNOP: «Livelli di stress mai raggiunti»

«Lo “stressometro” realizzato ogni settimana dall’Istituto Piepoli per conto del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi – osserva il professor Lazzari – rileva che il perdurare dell’emergenza Covid-19 porta il malessere degli italiani a un livello altissimo: il 63% si definisce molto o abbastanza stressato, un dato ancor più significativo considerando che il 43% degli intervistati denuncia un livello ‘’massimo’’ di stress».

Scendendo nel dettaglio, la ripartizione geografica in Italia tra chi si definisce “stressato” a causa della pandemia è così definita: il 67% nel Nord-Ovest, il 59% nel Nord-Est e del Centro Italia, il 67% nel Sud e nelle isole. Il professor Lazzari, commentando questi dati, ha dichiarato che, al netto di ciò, «vanno messe in campo opportune azioni e strategie».

«Gli psicologi – prosegue Lazzari – stanno facendo la loro parte a livello nazionale e sul territorio con una mobilitazione senza precedenti». Tuttavia, osserva il presidente del CNOP, «il volontariato non può sostituirsi al servizio pubblico, ed è necessario che vengano reclutati psicologi negli ospedali, nell’assistenza territoriale, nelle carceri».

«I pronto soccorso sono pieni di persone con attacchi di panico e non ci sono psicologi. Il distanziamento sociale, la paura e l’incertezza sul futuro – osserva infine il professor Lazzari – hanno portato lo stress a livelli mai toccati. Gli italiani hanno bisogno di messaggi chiari sia sulla situazione attuale sia sulle prospettive economiche e occupazionali del post-emergenza».

In copertina: ANSA / UFFICIO STAMPA OSPEDALE CREMONA / PAOLO MIRANDA | Gli infermieri del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Cremona durante le cure dei pazienti affetti da Covid-19

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