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Coronavirus, 25mila firme e una lettera al governo: il violinista Quarta e la prima viola della Scala Rossi lanciano l’appello dei lavoratori dello spettacolo

04 Maggio 2020 - 22:03 Felice Florio
«Presidente Conte e ministro Franceschini, mi viene in mente la frase “Fate come diciamo noi, ma non fate come facciamo noi”. Voi in questo periodo siete stipendiati. Noi di questo settore, come buona parte degli italiani, no»

Tre archi e un attore: la petizione l’arte è vita lanciata dal violinista Alessandro Quarta, dalla prima viola della Scala Danilo Rossi, dal violoncellista Mario Brunello e dall’attore Alessio Boni ha raggiunto le 25mila firme. Si tratta di un appello al ministero dei Beni culturali per salvare il settore dello spettacolo dal vivo. «All’arte non basta lo streaming: lo streaming è solo un ruscello, l’arte è un fiume in piena», scrivono i promotori dell’iniziativa.

Moltissimi i volti noti del mondo della cultura che hanno sottoscritto la petizione che chiede garanzie per tutti quei lavoratori che non appaiono sul palcoscenico. C’è la firma del trombettista Paolo Fresu, del cantautore Vinicio Capossela, degli attori Pino Insegno, Stefano Accorsi e tantissimi altri. L’elenco delle professionialità che rischiano di scomparire a causa del Coronavirus è lunghissimo.

«Gli spettacoli dal vivo muovono un mondo che non appare sul palcoscenico – scrivono i promotori della segnalazione al ministero -. Registi, sceneggiatori, drammaturghi, coreografi, tecnici audio, tecnici luci, manager, addetti stampa, promoter, organizzatori, impiegati amministrativi, agenti di spettacolo, scenografi, costumisti, montatori, fotografi, operatori del cinema, sarti, truccatori, parrucchieri, trasportatori, addetti alle pulizie, alla biglietteria, addetti di sala, maschere, giornalisti di settore».

Per queste figure e anche per gli artisti che appaiono sul palco, ma che ingrossano comunque le file dei precari della cultura, i sostenitori dell’appello chiedono soluzioni alla politica. Il violinista Quarta, poi, usando la sua fama riconosciuta anche all’estero per far luce sulla questione, ha scritto una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro Dario Franceschini.

Siamo un popolo di artisti. Siamo i lavoratori dello spettacolo, artisti e non solo. Quelli che sono in scena su un palcoscenico e quelli che non appaiono sullo stesso ma sono altresì importanti, necessari, e sono tanti: tecnici audio, tecnici luci, trasportatori, montatori, fotografi, manager, uffici stampa, promoter, organizzatori, registi, sceneggiatori, drammaturghi, coreografi, montatori di grandi palchi, impiegati amministrativi, agenti di spettacolo, scenografi, costumisti, operatori del cinema, sarti, truccatori, parrucchieri, addetti alle pulizie, alla biglietteria, addetti di sala, maschere, giornalisti di settore.

Loro hanno bisogno di noi artisti per vivere, come noi artisti abbiamo bisogno di loro per esprimerci lavorando. Si perché l’arte (musica classica, pop, rock, jazz, prosa, lirica, danza) è un lavoro! Anche tra gli artisti sul palco c’è un mondo di lavoratori senza garanzie: professori d’orchestra, coristi, ballerini aggiunti, compagnie teatrali, gruppi di musica da camera, band, associazioni culturali, associazioni concertistiche, attori, musicisti, cantanti, ballerini, comparse, orchestre, compagnie di ballo e teatri autonomi.

Il mondo dello spettacolo dal vivo è un mondo artigiano e operaio, fatto di fatiche mal pagate e di passione come stimolo per andare avanti, di persone che spesso lavorano su chiamata, che non hanno cassa integrazione, che non possono ricevere i tanto discussi 600 euro una tantum e che ora sono sull’orlo della miseria. Dove verranno trasportate tutte queste anime quando si farà lo streaming? Dovranno cambiare lavoro?

Lo streaming dovrebbe coprire i posti vuoti in teatro, quei posti vacanti per rispettare i giusti limiti di distanza, come si rispetteranno in tutti gli altri settori su cui voi state lavorando per aprire al più presto. Un esempio, In un teatro di 1.000 posti entrano 400 persone, le altre 600 assisteranno, con l’acquisto di ticket online, all’evento grazie allo streaming, senza ovviamente sforare la capienza dei posti del teatro.

Lo stesso per i luoghi all’aperto, nelle piazze, nei giardini pubblici, negli stadi e nei vari siti delle nostre splendide città amate e invidiate in tutto il mondo. Siti dove non si è mai fatto un concerto: questa emergenza potrebbe essere un modo per far scoprire “l’arte nell’arte”.

Sfruttando il periodo estivo, dobbiamo aprire già a giugno cosi nei mesi estivi si avrà il tempo di preparare i tanti teatri al chiuso (la maggior parte senza fondi e aiuti) all’adeguamento delle regole per portare in streaming tutti gli eventi prossimi 2020/2021. Manteniamo alta l’allerta virus ma riportiamo la nostra nazione, madre dell’arte nel mondo, allo sviluppo economico di “Made in Italy” artistico. Facciamo lavorare i tanti talenti artistici italiani e tutti i lavoratori italiani dello spettacolo.

Un violino Stradivari porta con sé la storia del suo suono: nato in un bosco, non potrà mai essere riprodotto fedelmente da nessuna tecnologia. Non sono un politico e tanto meno voglio essere un tecnico per consigliarvi come risolvere queste problematiche, ma mi pongo una domanda: perché si fanno studi sull’assembramento in un’azienda, in una chiesa, in un campo di calcio, in un cinema all’aperto, e invece non si fanno per l’immenso settore dello spettacolo?

Nelle varie dirette del parlamento vedo voi stare distanziati e anche alcuni senza mascherina. Come anche nella diretta che, presidente, ha fatto da Genova con tutti i meravigliosi lavoratori dietro di lei senza alcun distanziamento. Perché noi non possiamo farlo sul palco, perché non possono farlo il pubblico o i lavoratori dello spettacolo? Non credete che state dando un cattivo esempio?

Presidente Conte e ministro Franceschini, mi viene in mente la frase “Fate come diciamo noi, ma non fate come facciamo noi”. Senza parlare del fatto che in questo periodo voi siete stipendiati e noi, come la maggior parte degli italiani di qualsiasi settore, no. Le soluzioni sono tantissime e non possono essere sciorinate con facilità, ma si possono trovare solo con un team di esperti del settore, persone che conoscono tutto ciò che succede prima e durante uno spettacolo, dietro le quinte, sui palchi, nelle platee, nei foyer, nei camerini, negli impianti tecnici, nelle sartorie, nei corridoi della sicurezza, nei parchi, nelle piazze, dietro i grandi palchi.

Bisogna trovare con urgenza una soluzione tecnica per rispettare le distanze (pensi che già nei teatri gli ordini di palchi permettono di farlo, come all’aperto le sedie bloccate ad una distanza non modificabile). Se state cercando e trovando delle soluzioni per altri settori, non capisco perché non troviate un modo per risolvere urgentemente anche l’immenso settore dei lavoratori dello spettacolo.

Alessandro Quarta

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