Festa del lavoro: ripartiamo dai doveri per gestire al meglio la transizione verso il nuovo mondo – L’intervento

Le celebrazioni del 1 maggio ruotano sempre intorno ai “diritti”: questa volta, parliamo dei doveri per rilanciare il lavoro

Come ogni primo maggio che si rispetti, gran parte delle celebrazioni dedicate alla festa del lavoro conterranno la parola “diritti”. È una parola bellissima, di cui non possiamo fare a meno, probabilmente è tra le due o tre parole senza le quali non esisterebbe la democrazia: tuttavia, per una volta, non dovrebbe essere il tema ricorrente della festa del lavoro. Siamo dentro una crisi epocale, che sta demolendo bruscamente un mondo che, con mille imperfezioni, avevamo imparato a conoscere e apprezzare, e ci sta facendo intravedere un futuro di cui ancora sappiamo poco, ma che probabilmente non sarà piacevole.


Quasi 8 milioni di persone stanno utilizzando gli ammortizzatori sociali, tanti si apprestano a perdere il posto di lavoro; i lavoratori precari e intermittenti stanno già pagando un prezzo alto della crisi, per non parlare della platea dai confini incerti ma molto ampi dei lavoratori sommersi e irregolari. Oggi i sindacati, la politica e i media ci ricorderanno i tanti diritti che devono essere garantiti a tutti questi lavoratori: il diritto a trovare un’occupazione dignitosa, il diritto a ottenere un contratto regolare, il diritto alle tutele sindacali, e cosi via.


I doveri di tutti gli attori del sistema

Tutte rivendicazioni giuste, ma di fronte alla straordinarietà della situazione che stiamo vivendo, non basta a fare l’ elenco dei diritti; rischia di essere solo un esercizio dialettico. Bisogna iniziare a mettere a fuoco anche quali sono i doveri che tutti gli attori del sistema devono impegnarsi ad attuare per evitare che il nuovo mondo sia davvero così sgradevole come temiamo.

La politica ha il dovere di occuparsi del lavoro con un approccio nuovo. Dopo le importanti riforme a cavallo del cambio di millennio (pacchetto Treu e la riforma Biagi), il diritto del lavoro italiano ha imboccato una lunga strada di “populismo giuslavoristico”: destra, centro e sinistra hanno gestito le norme del lavoro come strumenti di consenso e di comunicazione, rifiutando qualsiasi approccio pragmatico e finendo per costruire un sistema nemico di chi vuole creare occupazione.

Le organizzazioni sindacali, fatte salve alcune lodevoli e coraggiose eccezioni, hanno il dovere di abbandonare le battaglie di retroguardia condotte in questi anni, quando troppo spesso si sono limitate a difendere solo le categorie già molto tutelate. Si pensi alle tante rivendicazioni sul tema pensionistico o alla lotta contro i voucher, che ha fatto scivolare i lavoratori dal lavoro flessibile a quello nero, sulla scia di un approccio miope al lavoro flessibile.

La pubblica amministrazione ha il dovere di costruire un sistema efficiente di servizi per l’ impiego: ci sono tanti centri pubblici che funzionano in maniera eccellente, ma la situazione complessiva è molto scadente, i navigator sono naufragati dentro un progetto nato male e le agenzie private, gli unico soggetti che riescono a collocare persone, sono state maltrattate come fossero degli impostori.

I lavoratori “forti” – quelli con una solida posizione contrattuale e previdenziale – hanno il dovere di donare qualcosa, in termini di protezione sociale, in favore dei precari che oggi sono fuori dal sistema. Dalla battaglia sull’articolo 18 sino a quota 100, i lavoratori “forti” sono stati coccolati dal sistema, mentre quelli che stanno fuori dalla “cittadella delle tutele” hanno dovuto assistere, senza avere nessuno in grado di rappresentarli,  all’innalzamento del muro che cinge tale cittadella.

Le imprese hanno il dovere, ora più che mai, di agire come soggetti socialmente responsabili, cercando di bilanciare le esigenze e le urgenze del conto economico con un approccio prudente alla crisi: decisioni affrettate, volte a massimizzare nel breve periodo la riduzione dei costi, finirebbero per aggravare una crisi di cui ancora sappiamo poco.

Questa lista è provvisoria e incompleta: gli impegni che ciascun attore del sistema dovrà portare avanti sono ancora tanti. Dobbiamo costruire un ponte che ci consenta di passare indenni dal vecchio al nuovo mondo: questo ponte sicuramente dovrà consentire il transito dei diritti, ma potrà reggersi solo se sarà poggiato su solidi piloni chiamati doveri.

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