«Il mio medico dice che ho avuto il Coronavirus ma non ho fatto il test. E ora la mia famiglia torna a lavorare» – Il video

Secondo l’Istituto superiore di sanità, la famiglia rappresenta il principale luogo di esposizione al virus dopo le Rsa. Ma quante hanno fatto il tampone e quante lo faranno in tempo per la ripartenza?

Vincenzo e Lavinia Gentile, rispettivamente 68 e 60 anni, vivono assieme alle loro figlie in un appartamento di circa 70mq nel comune di Pioltello, città metropolitana di Milano. Nella loro palazzina i casi di Coronavirus dall’inizio dell’epidemia sono stati «tantissimi», come ricordano in un primo momento, almeno un paio nella loro scala. «Si tratta di persone che sono nella nostra condizione», specifica il signor Vincenzo, «almeno, immaginiamo che sia così: lo capiamo dall’arrivo dei vigili». La loro “condizione” infatti è comune a molti: entrambi hanno avuto alcuni dei sintomi di Coronavirus – febbre, tosse, la perdita del gusto – ma a nessuno dei due, per il momento, è stato fatto un tampone, nonostante abbiano ricevuto una visita da parte dei medici dell’Ats e delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA).


Il contagio familiare e la quarantena “fai-da-te”

Come avviene in circa il 24% dei casi – secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, che nel suo ultimo rapporto ha sottolineato come dopo le Rsa l’ambito familiare rappresenti il principale luogo di esposizione al virus – alla malattia dell’uomo è presto seguita quella di sua moglie. Su consiglio del proprio medico di base, anziché farsi ricoverare in ospedale sono rimasti a casa dove però hanno cercato di auto-isolarsi come potevano, cercando di mantenere un minimo di distanziamento personale in un contesto di promiscuità familiare, indossando le mascherine, separandosi per i pasti e dormendo in stanze separate.


Il ritorno alla “normalità”, senza la certezza di essere stati contagiati

Adesso anche per loro dovrebbe partire la Fase 2, senza la certezza però non solo di essere non più contagiosi, oltre che immuni – per valutarlo bisognerà aspettare i test sierologici – ma anche di essere stati contagiati davvero. Lavinia Gentile, che dovrebbe tornare a breve a lavorare nel panificio industriale dal quale è stata messa in cassa integrazione, è attualmente in lista per fare un tampone, ma non ha nessuna certezza su quando avverrà.

Per suo marito, pensionato, la “nuova normalità” è iniziata con delle brevi passeggiate al supermercato, ma per lui non è previsto alcun tampone. Come non lo è nemmeno per le loro due figlie, che pur non avendo avuto mai sintomi, potrebbero essere state contagiate e che presto torneranno a lavoro. Sorge spontaneo domandarsi non soltanto quante famiglie italiane siano nella loro stessa condizione, ma anche che priorità abbiano attualmente nella strategia di tamponi predisposta dalle autorità sanitarie, in Lombardia come altrove.

Il parere degli esperti:

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