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Coronavirus. L’Europa, la ricerca del paziente 0 e le accuse alla Cina. Il primo caso risale a prima dell’allarme da Wuhan

A più di due mesi dalla comparsa del primo caso in Europa, gli esperti stanno ancora cercando risposte certe sull'inizio della pandemia. Crescono i dubbi sul comportamento di Pechino

Era il 21 febbraio quando “il paziente 1 di Codogno”, ormai conosciuto come Mattia, veniva trovato positivo al test sul Coronavirus. Nel giro di qualche ora, la curva dei contagi in Italia era schizzata senza controllo: in meno di un giorno si era passati dall’avere 0 contagi ad essere il primo Paese europeo per numero di positivi. Il 23 febbraio si erano superati i 100 casi ed erano già morte le prime 3 persone.

Per giorni, gli esperti avevano cercato di individuare i diversi focolai per isolarli e capire per quale motivo il virus avesse colpito proprio quelle zone. Nell’area del lodigiano e di Vo’, in particolare, si era cercato senza sosta il “paziente 0”, per riavvolgere il nastro e localizzare il punto di fuga delle traiettorie. C’è voluto un po’ di tempo prima di mettere a fuoco che la questione non era né il come né il dove: si trattava di capire quando.

L’epidemia in Lombardia

Nel caso di Mattia, si è scoperto ben presto che il concetto di “amico di ritorno dalla Cina” che potesse averlo infettato era un’utopia. La linea dell’andamento dei contagi era troppo verticale e troppo veloce per illudersi di avere qualche chance di trovare il paziente 0 partendo da lui e ricostruire così la genesi dell’epidemia.

Secondo a una recente analisi della task force sanitaria della Lombardia, un mese prima che Mattia venisse portato in ospedale a Codogno nella Regione c’erano già 543 positivi. Anzi: in tutto il mese precedente, e cioè negli ultimi giorni di gennaio, in Lombardia ci sarebbero stati già 1.200 contagi.

Un’informazione non da niente se si considera che in quel momento era passato meno di un mese da quando, il 31 dicembre, la Cina aveva diffuso la notizia di una serie di polmoniti verificatesi a Whuan. Solo il 9 gennaio, poi, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina aveva identificato un nuovo Coronavirus (provvisoriamente chiamato 2019-nCoV) come causa eziologica di queste patologie.

ANSA/Matteo Corner | I carabinieri del Nas, insieme a personale medico specializzato, prelevano con un’ambulanza bio contenitiva dalla loro abitazione di Castiglione d’Adda i genitori di Mattia, 38 anni, il paziente ‘numero 1’, trasferito nella stessa mattina dall’ospedale di Codogno al Policlinico San Matteo di Pavia. 22 febbraio 2020

Nei giorni in cui la Lombardia diventava l’Hubei d’Europa, anche il resto dei Paesi dell’Unione iniziavano a individuare i primi focolai sui loro territori. Francia e Germania, seppur con dinamiche spesso differenti, si sono trovate anch’esse alle prese con il misterioso virus «arrivato dai pipistrelli».

Ma se il primo periodo è stato all’insegna delle misure drastiche di contenimento, tra la metà di marzo e il mese di aprile le varie task force governative hanno iniziato a rimettere insieme i tasselli. Quel che ne è uscito è più o meno la stessa cosa ovunque: il Covid-19 era in Europa da molto prima che ce ne accorgessimo. E, di conseguenza, il virus potrebbe essere comparso in Cina molto prima di quanto non si sappia.

Che la Cina non avesse suonato le campanelle dell’allarme al momento propizio era già stato evidenziato da casi come quello del professor Li Wenliang, deceduto il 7 febbraio proprio a causa del Coronavirus. Il dottore era stato minacciato e messo a tacere con la forza dalle autorità cinesi a fine dicembre, con l’accusa di aver diffuso «false informazioni» su un «nuovo virus». Ora, stando alle ultime scoperte dei dottori francesi e ai nuovi report delle task force dei vari Paesi, il timore è che il virus abbia radici temporali ancora più lontane.

Le ultime scoperte in Francia

L’ipotesi si fa strada con maggiore forza in questi primi giorni di maggio. Proprio in Francia il dottor Yves Cohen, a capo dei servizi di rianimazione degli ospedali Jean Verdier a Bondy e Avicenne a Bobigny, ha sostenuto che un caso di Coronavirus nel Paese si era già registrato a fine dicembre – prima, cioè, della data in cui la Cina ha condiviso l’informazione delle polmoniti con la comunità internazionale. Per quanto se ne sapeva finora, I primi tre casi ufficiali erano stati segnalati il 24 gennaio, uno a Bordeaux e gli altri due a Parigi. Tutti e tre erano tornati dalla Cina, proprio come i due turisti cinesi segnalati in Italia (a Roma) il giorno prima, il 23 gennaio.

Epa |Un operaio pulisce la zona nell’area antistante la basilica di Notre Dame, Parigi 27 Aprile 2020

Su suggerimento del professor Jean-Ralph Zahar, il dottor Cohen ha rianalizzato tutti i test Pcr effettuati su pazienti con polmoniti sospette da dicembre a gennaio. Su un totale di 24 pazienti, uno è risultato positivo al Covid-19: il 43enne Amirouche Hammar, residente a Bobigny, banlieu parigina, mai stato in Cina. A sua volta, come riportato dall’emittente Bfm, il “nuovo paziente 0” aveva contagiato i suoi figli e sua moglie. Un’altra ipotesi inverte invece la dinamica dei contagi: a prendere per prima il Covid-19 potrebbe essere stata la moglie stessa (da asintomatica), che lavora a un banco del pesce di un supermercato dove sono impiegate anche persone di origine cinese.

Il Paese (come tutti gli altri) è ora in attesa del resoconto dello studio dei medici, che verrà pubblicato alla fine di questa settimana sull’International journal of antimicrobial agents. Fino ad ora, l’unica cosa certa è che il virus circolava in Europa da molto prima che la Cina permettesse ai dottori e alle autorità competenti di diffondere informazioni sul nuovo Coronavirus.

Il caso della Germania

Epa | Agenti della polizia controllano un bus al confine tra la Germania e la città di Rozvadov, nella Repubblica Ceca, 9 Marzo 2020

Il primo caso di Covid-19 segnalato in Germania è un uomo che lavora nell’azienda Webasto Group di Stockdorf, cittadina vicino Monaco. L’uomo viene trovato positivo il 27 gennaio: secondo quanto ricostruito, il dipendente aveva partecipato a un meeting di lavoro in cui era presente anche una collega di Shanghai che in quei giorni aveva incontrato i suoi genitori di Whuan. Nella stessa azienda sono poi risultate positive, il 28 gennaio, altre 3 persone.

Nel giro di qualche giorno il bilancio dei contagi sale a 16. La “pista dell’azienda tedesca” come primo ingresso del virus in Europa ha attirato l’attenzione generale: oltre ai sondaggi sanitari dell’Oms, anche la polizia è intervenuta per ricostruire la genesi di quel momento. In ogni caso, anche se il “paziente 1” tedesco fosse proprio il dipendente d’azienda, il viaggio del virus nel resto d’Europa resta ancora un rebus.

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