Rita e le altre. Chi sono le “madri sociali” del Brasile che hanno dimezzato la mortalità infantile

Nel 2001, anno in cui è nato il progetto, ci sono stati 56 bambini morti ogni 1.000 nascite. Dal 2012 il numero di decessi nella città è più che dimezzato da 46 a 21

Rita de Cássia di professione fa la “madre sociale”, in portoghese mãe social. È una figura lavorativa nata nell’area rurale nord est del Brasile, a Sobral, per ridurre i tassi di mortalità infantile. Si stima che dal 2017, 95 donne gestanti, 461 neonati e 132 bambini siano stati supportati dalle madri sociali. Il loro compito è quello di fare da mamma e infermiera per le neo madri in difficoltà. La madre sociale viene stipendiata con una tariffa giornaliera minima stanziata direttamente dall’autorità sanitaria locale.


Prima di poter fare questo mestiere, bisogna seguire dei corsi di formazione per imparare a prendersi cura delle donne incinte o delle madri che non hanno alcun sostegno dalle loro famiglie, così come i bambini e altri bambini che sono a rischio clinico o che vivono in condizioni difficili. Le mansioni vanno dall’aiutare le madri ad allattare, al prendersi cura degli altri bambini in famiglia, dall’aiutare in casa al fare le pulizie.


Rita, che ora ha 46 anni, racconta al Guardian del primo ingaggio. Lavorava per una coppia: lei, tossicodipendente. Il compagno, tossicodipendente anche lui. La casa in cui vivevano era sprovvista di servizi igienici e lavandini: erano stati venduti per comprare le dosi di stupefacenti. I figli chiedevano cibo in continuazione, ma non c’era nulla nell’appartamento che potessero mangiare. «Ho comprato del cibo e gliel’ho dato – ha raccontato Rita -. La madre mi disse che aveva venduto uno yogurt che le avevo dato per acquistare altra droga. Anche io sono povera ed è stato difficile per me dare loro da mangiare».

Di donne, durante la sua carriera, ne ha aiutate molte. Come Antonia Lucélia Torres, una madre single con quattro figli. Rita l’ha aiutata dopo che la cicatrice del cesareo aveva fatto infezione, procurandole non pochi problemi di salute, ragione per cui non riusciva a prendesi cura dei suoi bambini. Oltre a Rita, c’è anche Rochelly Rodriguez, un’infermiera del centro sanitario locale. Lavora per un’altra madre single che ha un bambino di sei anni e un altro più piccolo. La donna ha già rinunciato ad un figlio per darlo in adozione ed è incinta di sei mesi di un altro che verrà dato in adozione anche lui.

Nel 2001, anno in cui è nato il progetto, ci sono stati 56 bambini morti ogni 1.000 nascite. Dal 2012 il numero di decessi nella città è più che dimezzato da 46 a 21. Sono stati compiuti sforzi per fornire l’educazione sessuale nelle scuole e nei centri comunitari. È stata studiata la morte di ogni bambino e le tossicodipendenti gestanti sono state monitorate attentamente. Dal 2017, 492 tossicodipendenti in gravidanza e 335 nuove madri sono state supportate dall’iniziativa.

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