Coronavirus, per l’Iss «nessuna prova che i bimbi affetti da Kawasaki siano più a rischio Covid». E ipotizza una sindrome infiammatoria ancora da definire

Secondo l’Istituto, che cita Ecdc e Oms, la sintomatologia osservata nei bambini potrebbe avere a che fare con una forma differente di malattia ancora da definire: una sindrome infiammatoria acuta multisistemica

L’Istituto superiore di sanità ha fatto luce sui più recenti progressi di ricerca scientifica in merito al rapporto tra Covid-19 e malattia di Kawasaki. Secondo l’Iss, per i bimbi che hanno questa malattia non vi è al momento alcuna prova scientifica che dimostri la loro esposizione a un rischio maggiore di contrarre il Sars-CoV-2 rispetto agli altri, o di andare incontro a una recidiva.


Finora i pediatri si erano interrogati sulla possibilità che vi fosse una correlazione tra la malattia di Kawasaki e il Coronavirus, senza però aver trovato una validità scientifica all’ipotesi. Il motivo per cui il dubbio era sorto stava nell’aumento anomalo dei casi di Kawasaki tra i bambini in questo periodo di pandemia. Lucio Verdoni, reumatologo pediatra dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, aveva detto a Open che, da 4 casi all’anno di media, era passato solo nella prima parte del 2020 ad affrontarne 16.


«Recenti pubblicazioni scientifiche descrivono una sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale, associata a positività per il SARS-CoV-2 o presenza di anticorpi anti SARS-CoV-2», scrivono dall’Iss. Come è possibile, dunque, escludere la correlazione? Secondo l’Istituto – che cita il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e l’Organizzazione mondiale della sanità – la sintomatologia osservata nei bambini e negli adolescenti potrebbe essere non il Kawasaki, ma una sindrome infiammatoria acuta multisistemica – e cioè una forma differente di malattia ancora da definire.

Inoltre, sia i dati italiani che quelli inglesi hanno dimostrato che lo sviluppo di questa sindrome segue di 2-4 settimane il picco di infezione da SARS-CoV-2, per cui «si ipotizza una patogenesi immunomediata e non legata ad un’infezione diretta del virus».

La sindrome infiammatoria acuta multisistemica

«Questa sindrome sembrerebbe condividere alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Kawasaki ma – specificano dall’Iss – secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e della World Health Organization (Oms), si tratta di una forma clinica che va differenziata dalla malattia di Kawasaki e che è ancora in via di definizione». Le caratteristiche della sindrome comprendono infatti «un’aberrante risposta infiammatoria, con febbre elevata, shock e prevalente interessamento miocardico e/o gastrointestinale».

Proprio l’Ecdc ha pubblicato, lo scorso 15 maggio, un Rapid Risk Assessement sulla sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica e adolescenziale e l’infezione da SARS-CoV-2: nel report vengono riportati 230 casi sospetti nell’Unione europea e nel Regno Unito, con due decessi.

«I soggetti colpiti hanno un’età media di 7-8 anni, fino 16 anni, e hanno presentato interessamento multisistemico grave, a volte con necessità di ricovero in terapia intensiva», sottolineano dall’Iss. «Il reale numero di questi soggetti è ancora in fase di valutazione, così come il preciso inquadramento nosologico di questa condizione, attualmente chiamata “sindrome infiammatoria acuta multisistemica”».

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