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Rider, la denuncia dei fattorini di Uber Italy: «Dagli intermediari minacce e pagamenti mancati»

31 Maggio 2020 - 09:51 Olga Bibus
Tra gli indagati anche il manager Danilo Donnini che sulla Stampa respinge le accuse, ma ammette: «Alle condizioni dei miei fattorini non avrei mai lavorato»

C’è chi è arrivato in Italia con un barcone e chi invece, italiano, voleva arrotondare per pagarsi l’Università, ma ora denunciano di essere stati sfruttati dagli intermediari che agivano per conto di Uber Italy, la società commissariata dal Tribunale di Milano con l’accusa di caporalato. I rider, di cui sono state raccolte le testimonianze negli ultimi giorni, hanno confermato di aver preso 3 euro a consegna, ma raccontano anche altri dettagli, come «minacce e pagamenti mancati» dagli intermediari. Daniel, sulle pagine di Repubblica, dice di aver perso tutto. «Non sono riuscito ad aiutare mia mamma quando si è ammalata, chiedevo i soldi che mi spettavano, ma nessuno mi rispondeva». Daniel, 24 anni, è arrivato in Italia con un barcone.

«A Roma ho cercato un lavoro, un mio amico mi ha presentato a Danilo, mi ha fatto firmare una sorta di contratto. Dovevano essere 3,50 l’ora, ma sono diventati 3,50 a consegna», racconta. L’intermediario a cui si riferisce è Danilo Donnini, il manager che agiva per una delle due società finite sotto inchiesta, indagato anche lui per caporalato. Daniel non ha i documenti italiani e vive in un centro di accoglienza a Roma, ma questo non gli ha impedito di essere reclutato per lavorare come fattorino di Uber Italy. A chi come me non aveva documenti pagavano in contanti», dice. Poi però cambiano le regole e il pagamento deve avvenire solamente su un conto, che Daniel non ha. Motivo per cui, secondo il suo racconto, non viene pagato per il lavoro svolto.

«Mia mamma si era ammalata in Africa, scrivevo a Danilo, gli chiedevo i soldi che mi spettavano, ma lui non rispondeva. L’ho supplicato. Lui a un certo punto mi ha risposto: “Tanto non puoi farmi nulla, non sei italiano, io sì”. A settembre è morta mia mamma e io non ho potuto aiutarla», dice. La sua testimonianza è stata raccolta dal nucleo di polizia economico tributaria della guardia di finanza di Milano ed è contenuta nel fascicolo aperto su Uber. Mattia, invece, racconta la sua esperienza con Uber Italy alla Stampa. Dice di aver resistito un mese, ma le condizioni di lavoro erano inaccettabili: «Gli intermediari ci chiedevano la disponibilità degli orari settimanali in chat, se non rispondevamo entro 30 minuti ci minacciavano».

Anche lui, come Daniel, ha firmato una sorta di “contratto” e dice che il suo guadagno era di 3 euro a consegna: «Ho fatto presto a mollare, ma in tanti non l’hanno fatto e i migranti sono stati ingannati con la promessa di avere permessi di soggiorno». Anche dal suo racconto emerge il nome di Danilo Donnini che però respinge le accuse. E sempre sulle pagine del quotidiano torinese si difende: «Le prime vittime di Uber siamo stati noi: sfruttati, tenuti in pugno e costretti a firmare un contratto vessatorio». Dice di aver sempre trattato bene i rider, di averli sempre pagati. Ma dalle chat emergono alcuni messaggi che sembrano smentirlo: «Ho solo minacciato di venirti a rompere un braccio e lo ribadisco», scriveva. Danilo ammette: «Alle condizioni dei miei fattorini non avrei mai lavorato».

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