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Mentre l’Italia rafforza i rapporti con al-Sisi, l’Egitto mette a tacere le voci indipendenti e imprigiona i giornalisti

Il presidente del consiglio è stato chiaro: «Con il Cairo serve dialogo». Nonostante la mancanza di risposte sulla morte di Giulio Regeni, nel Mediterraneo la partnership con il presidente egiziano è ormai irrinunciabile

Durante l’audizione davanti alla commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni il premier Conte ha chiesto, da un lato, pragmatismo nei rapporti con l’Egitto. Dall’altro ha parlato di una ferita aperta, elogiando il coraggio dei genitori del ricercatore ucciso al Cairo. E mentre l’Italia chiude accordi miliardari con l’Egitto, la repressione del presidente egiziano verso i giornalisti si fa sempre più dura.

L’arresto di giornalisti

Dopo l’arresto dell’attivista 26 enne Sanaa Seif, rapita in pieno giorno da uomini in borghese fuori dalla Procura del Cairo, l’ultimo attacco del governo del generale ha colpito la giornalista indipendente Nora Younis. La direttrice del sito egiziano Al Manassa e collaboratrice del Washington Post è stata rilasciata dopo 24 ore con una multa di «10mila sterline egiziane», quasi 550 euro. Il 16 giugno è toccato a Mohamed Monir, 65 anni, arrestato da agenti di polizia in borghese dopo aver criticato alla tv qatariota Al Jazeera lo Stato di polizia di al-Sisi.

Il divieto di parlare di temi sensibili

Secondo il Committee to Protect Journalism, l’Egitto è il quarto carceriere di giornalisti al mondo dopo Cina, Turchia e Arabia Saudita. Una persecuzione che dal 2014 – anno in cui Abdel Fattah al-Sisi si è insediato ufficialmente al potere – si è intensificata. All’inizio di questo mese, il Consiglio egiziano per la regolamentazione dei media ha annunciato il divieto per i canali di informazione di affrontare varie questioni “sensibili”.

Tra queste l’epidemia di Coronavirus, il conflitto in Libia e gli scontri sulla penisola del Sinai. La pandemia ha offerto al presidente egiziano l’opportunità di rafforzare il suo controllo sulla stampa libera, dichiarando lo stato di emergenza e giustificando ogni azione alla luce dei più ampi interessi nazionali. Interessi che in Libia e nel Mediterraneo orientale incontrano il pragmatismo di Conte.

La collaborazione con l’Italia

L’accordo per la vendita di armi su cui pesa la morte di Giulio Regeni non ha scomposto il presidente del Consiglio, che in commissione d’inchiesta ha continuato a ribadire la necessità di portare avanti un dialogo con il Cairo, un partner commerciale sempre più importante per l’Italia. Tanto che la commissione per la vendita di armi, navi, caccia, e satelliti avanzati costituirebbe il più importante accordo bellico per l’Italia dalla seconda guerra mondiale per un valore di 10 miliardi di euro.

Con la sconfitta di Haftar in Libia, al-Sisi ha inoltre perso la sua pedina fondamentale nello scontro con la Turchia e ora l’Italia, dopo la visita di Luigi Di Maio, vuole preservare il suo ruolo di mediatore a Tripoli. Al presidente egiziano, così come a Roma, preme garantire la sicurezza delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale sfruttate dall’Eni.

Nel 2018 la compagnia italiana ha scoperto il giacimento di gas di Zohr, uno dei più grandi al mondo che ha già superato la produzione di oltre 3 miliardi di piedi cubi al giorno. E nessuno dei due Paesi ha intenzione di ostacolarsi nei rispettivi approvvigionamenti energetici. All’Italia preme tornare a contare nel Mediterraneo. Su questa strada deve passare dal favore di al-Sisi. Irrinunciabile anche davanti alla morte di un connazionale e l’arresto dello studente Patrick Zaki.

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