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George Floyd. Il razzismo c’è e non ci piace, ma abbiamo davvero le idee chiare? Il caso San Michele contro Satana

26 Giugno 2020 - 07:36 David Puente
A finire sotto accusa stavolta è la medaglia dell'Ordine di San Michele e di San Giorgio, assegnata agli ambasciatori britannici

Il razzismo è un problema, è un fatto innegabile e dimostrato. Chiunque abbia studiato un minimo di storia dovrebbe essere consapevole di quanto il colore della pelle, e non solo, abbia influito nel giudizio delle persone. Dovrebbe, appunto, perché oltre al fatto che la storia andrebbe studiata c’è chi nonostante tutto è razzista o fa finta di non esserlo nascondendosi dietro frasi di circostanza come «non sono razzista, ma». L’omicidio di George Floyd ha giustamente scatenato una reazione senza precedenti contro l’intolleranza, e tuttavia qualcuno sta perdendo il focus.

Molti attivisti contro il razzismo si sono accaniti contro le statue di personaggi storici legati a periodi bui della nostra storia, in alcuni casi avanzando collegamenti forzati come quello di Cristoforo Colombo colpevole di aver scoperto il «nuovo mondo» aprendo la via ai vari conquistadores che hanno distrutto intere civiltà. Un esempio recente è quello di una donna, l’attivista Tracy Reeve, la quale ha lanciato una petizione su Change.org contro un’onorificenza britannica perché ritenuta razzista.

L’oggetto della contestazione di Tracy è la medaglia dell’Ordine di San Michele e di San Giorgio, assegnata agli ambasciatori britannici. La ragione: raffigura un bianco, l’Arcangelo San Michele, che schiaccia con un piede la testa di un nero, Satana. L’attivista non si limita all’accusa di razzismo per il bianco che schiaccia il nero ma citando una somiglianza tra la scena raffigurata e l’omicidio di George Floyd riesce ad ottenere l’attenzione di utenti e media.

Potremmo passare ore e ore a discutere quanto la politica abbia influenzato nel corso della storia le raffigurazioni artistiche e di come abbia determinato l’installazione di una statua in una pubblica piazza o di un simbolo all’interno di una medaglia. Potremmo trascorrere ore e ore a parlare di contestualizzazione e di non contestualizzazione, di come un’opera storica possa dare fastidio o meno a qualcuno in base alle diverse sensibilità. Potremmo impiegare ore e ore a discutere, ma staremmo perdendo tempo perché il problema non è la storia passata.

L’omicidio di George Floyd, l’atto e non la persona, è diventato un simbolo di un problema che fa parte del nostro presente e che non è stato né risolto né arginato a dovere. Nel 2020 la discriminazione sulla base del colore della pelle o dell’origine etnica di una persona non si può considerare degna di una società civile e moderna, ma siamo sicuri che per risolvere il problema sia necessario rimuovere l’immagine di una medaglia storica o abbattere una statua? Se il problema è attuale bisogna intervenire sul presente e contestare le vere discriminazioni del nostro tempo al fine di ottenere dei risultati concreti per il futuro. Non solo, se continuiamo a contestare il passato e a eliminarne la memoria storica non potremmo mai insegnare ai nostri figli gli orrori del passato e sviluppare quello spirito critico utile per affrontare il presente.

L’iconografia segue, e seguirà sempre, il costume e la società del suo tempo. Oggi la nuova icona è quella del volto di George Floyd, ucciso ingiustamente da un uomo e dai suoi complici in maniera brutale e insensata. Non sappiamo se in futuro qualcuno installerà una statua in suo onore in qualche piazza o parco pubblico, ma bisogna essere consapevoli che tra qualche anno – come già fanno nel presente – qualcuno potrebbe fare una petizione per la sua rimozione perché raffigura una persona con dei precedenti penali e dunque di cattivo esempio per i giovani. La delinquenza non si risolve colpendo un’icona, ma andando dritti al problema. Lo stesso vale per il razzismo, perché rischiamo di colpire il passato senza impattare realmente sul futuro.

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