Andrea Varriale, il carabiniere che era di pattuglia in borghese con il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso la notte del 26 luglio con cinque coltellate da Finnegan Elder, ha chiarito perché quella sera i due uscirono senza l’arma: «Per praticità. Non mi è mai capitato di doverla usare nel servizio nella zona della movida». Il carabiniere ha chiarito che «la Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo – ha aggiunto Varriale – dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarsi. Giravamo a piedi perché i controlli sull’attività di spaccio non si possono fare in auto».
Il racconto di Varriale: «Dicemmo “Siamo carabinieri”»
Varriale è stato ascoltato come testimone nel processo che vede imputati anche Gabriel Natale Hjorth. «Ci avviciniamo frontalmente ai due e tiriamo fuori il tesserino dicendo: “Siamo Carabinieri”». «Dopo esserci qualificati ho riposto tirando fuori dalla tasca il tesserino – racconta Varriale – e Mario ha fatto la stessa cosa». «I due ci hanno immediatamente aggrediti – ha ricostruito Varriale davanti ai giudici della Prima corte d’Assise -. Io fui preso al petto da Natale e rotolammo in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava “Fermati, Carabinieri”, aveva una tono di voce provato». Il militare ha proseguito raccontando le fasi dell’aggressione.
«Tutto è durato pochi secondi – ha aggiunto – io lascio andare il mio aggressore perché ero preoccupato per le urla di Mario. Alzo la testa e vedo lui in piedi che mi dice “mi hanno accoltellato” per poi crollare per terra. Mi sono quindi tolto la maglietta e ho provato a tamponare la ferita, ma il sangue usciva a fiotti. Ho chiamato subito la centrale per chiedere una ambulanza». Il processo è stato aggiornato alla luce del malore che ha colto, durante l’udienza, il suocero di Cerciello che è stato trasportato in ambulanza in ospedale per accertamenti.
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