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Il Recovery Fund «è un risultato più grande di Macron, Merkel o Conte. Ma non è chiaro se l’Italia sappia come spendere quei soldi» – L’intervista

Raggiunto il compromesso sul piano di aiuti post pandemia ora la partita si gioca sulle riforme nazionali. Secondo Mujtaba Rahman - analista dell'Eurasia Group intervistato da Open - i rischi maggiori per la stabilità europea riguardano la sua implementazione

Ci sono voluti – si fa per dire – solo quattro giorni alla Ue per raggiungere un accordo sul Recovery Fund. Una svolta senza precedenti nella sua storia economica. Per la prima volta è stata superata la barriera del debito comune europeo, dopo giorni e notti di resistenza da parte dei Paesi frugali. Il risultato immediato è un grande «impulso di fiducia» per l’Unione Europea e una grande vittoria per Giuseppe Conte, dice a Open Mujtaba Rahman, direttore del dipartimento lavoro della società di consulenza Eurasia Group in Europa, fondata dal politologo Ian Bremmer. La svolta c’è stata e questa volta i mattatori non sono solo Angela Merkel ed Emmanuel Macron: «Nessuno avrebbe potuto farcela da solo». Ma, per una Europa che si prepara a fare debito comune, i rischi riguardano ora «i delicati rapporti tra Stati».

La quadra sul Recovery Fund è stata accolta – soprattutto dal blocco di Italia, Francia e Germania – come una svolta storica. Siamo davanti a un vero successo?

«L’accordo è un grande risultato per i Paesi del sud Europa. Possiamo parlare di un momento spartiacque per l’Unione europea, si sono superate certe barriere. L’idea di prestiti su larga scala e di trasferire il denaro ai Paesi più colpiti dall’epidemia aiuti soprattutto sotto forma di sovvenzioni e non di prestiti.

E un periodo di 30 anni per restituire i soldi prestati. Sono tutte innovazioni che fanno di questo accordo un momento storico e significativo. Ma ora la vera domanda è come verrà implementato. Perché compiere passi falsi causerebbe danni enormi, in particolare per paesi come l’Italia».

L’Italia è stata il maggior beneficiario dei fondi. Come vede il ruolo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte?

«Nel breve termine ha sicuramente rafforzato la posizione del premier Giuseppe Conte, che è stato uno dei principali sostenitori a livello europeo dell’accordo. Le nazioni Frugali si erano opposte alle sovvenzioni per il valore di 390 miliardi di euro e se si pensa al punto di partenza e al risultato finale, questa è stata una grande vittoria simbolica per Conte e per il governo italiano.

L’opposizione italiana sta davvero facendo fatica a capire come attaccare l’accordo. Va riconosciuto a Conte di aver permesso all’Italia di fare un grande passo avanti nell’integrazione europea. Se nel lungo termine altererà la politica italiana rendendo la sua appartenenza all’Ue meno traballante dipenderà dall’implementazione dell’accordo».

Qual è stato l’elemento cruciale per arrivare a un compromessi con gli Stati del “Nord”?

«I Paesi frugali sono riusciti a ottenere un aumento sui rebate, ovvero sui rimborsi spettanti agli Stati membri. E alle Nazioni del Nord Europa è toccata la fetta più grande, in particolare all’Olanda, con 1,9 miliardi. Inoltre hanno rafforzato il processo della governance, ovvero della valutazione delle riforme nazionali, riducendo tra l’altro il volume dei prestiti.

Come sappiamo i fondi per il piano di aiuti saranno reperiti sul mercato e ripagati, oltre che dagli Stati membri, anche dalla Commissione Ue con risorse proprie. Ciò su cui hanno spinto i Paesi frugali riguarda le tasse green e digital da cui riusciranno a prelevare fondi aggiuntivi. Questa è stata una componente cruciale per convincere il blocco guidato dall’Olanda e dall’Austria a firmare l’accordo».

È stata veramente una sconfitta per i partiti populisti?

«Senza l’accordo è molto probabile che Conte avrebbe dovuto richiedere il Mes e la percezione pubblica sul meccanismo di stabilità continua a essere negativa. Nel breve termine, se non fosse arrivato un accordo, il governo avrebbe perso la fiducia dei cittadini e i partiti d’opposizione avrebbero sfruttato la situazione. Il governo ha ricevuto i soldi ma ora ha bisogno di spenderli in modo efficace.

L’esecutivo ha la capacità di farlo? Stiamo parlando di 209 miliardi di euro. Questo è una enorme opportunità dal punto di vista economico. L’Italia ha la capacità amministrativa e istituzionale per spenderla bene? Non è ancora chiaro. Ma al momento evitare di essere obbligato a prendere il Mes è stato per Conte un grande risultato, anche se potrebbe valutare comunque di implementarlo».

In suo articolo ha parlato del rischio che l’accordo possa non funzionare. Che cosa intende?

«Ciò di cui sono preoccupato riguarda la governance e il futuro dei rapporti tra i Paesi membri. La Commissione europea è l’organo esecutivo dell’Unione europea e ha il potere di implementare i trattati e farli rispettare. Quello che il premier austriaco e olandese hanno chiarito fin da subito è che non credono che la Commissione sia in grado di assicurarsi che, per esempio in Italia, le riforme siano studiate e implementate.

La discussione politica deve quindi essere molto calibrata e cauta altrimenti, nel peggiore dei casi, potrebbe avvelenare la relazione tra i leader dell’Ue. I partiti populisti potrebbero ribadire che le riforme nazionali non sono decise attraverso deliberazioni con Bruxelles, ma decise da altre capitali europee. Ma al momento l’accordo ha infuso un grande spirito di fiducia nell’Ue, che procede emettendo debito comune e ridistribuendo i fondi ottenuti ai paesi più bisognosi.

Non c’è alcun impatto economico negativo. È una mossa seria che ha aumentato la fiducia negli investitori e la loro volontà di entrare nel mercato europeo. Ma, come già detto, al momento è tutto teorico. Il banco di prova effettivo per valutare l’accordo e le sue conseguenze – soprattutto in Italia – dipenderà dal modo in cui i soldi verranno spesi».

Una delle sorprese del vertice è stato l’intervento del premier ungherse Viktor Orban. Qual è il suo gioco?

«Da sempre Orbán cerca soldi in Europa per sostenere il suo network corrotto. E c’è riuscito. Orbán gestisce quella che possiamo definire una cleptocrazia e ha bisogno di continui flussi di denaro per tenere in piedi il suo governo. Non penso che fosse davvero preoccupato per la solidarietà europea.

Voleva ottenere fondi ed evitare l’intrusione europea nei suoi affari domestici. E ha avuto successo in entrambi i casi. Un giorno dopo l’accordo ha licenziato il direttore del primo sito web non governativo in Ungheria: Index. Sintomo che l’accordo ha rafforzato la sua posizione politica e di controllo».

Dietro al risultato del premier Conte, quanto hanno pesato il ruolo di Merkel e Macron?

«Tutti dovevano avere un ruolo. Angela Merkel non avrebbe potuto farcela da sola, lo stesso per il presidente Emmanuel Macron. Anche Charles Michel non avrebbe avuto successo da solo. Ecco perché l’Ue è un’organizzazione multilaterale. Nessun Paese sarebbe stato in grado di portare a casa questo accordo da solo. E’ stato uno sforzo collettivo. Questo è ciò che ha di grandioso e storico il compromesso raggiunto a Bruxelles. E dobbiamo essere realisti a riguardo: era più grande di Merkel, di Macron e di Conte. Si tratta del risultato di tutta l’Unione».

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