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Il Coronavirus ha cambiato anche i contratti? La guida per capire cosa dice la Cassazione

24 Luglio 2020 - 16:26 Martino Liva
L'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha pubblicato una relazione tematica sul diritto emergenziale in ambito contrattuale e concorsuale

In molti, durante i mesi più cupi della pandemia Covid-19, si sono domandati quale fosse il futuro dei loro rapporti contrattuali. Su questo tema le misure di contenimento del governo e lo shock economico hanno sollevato due dubbi: la gestione dell’emergenza che ha incrinato l’equilibrio dei contratti e la ricerca del rimedio a tale problema. Soprattutto per quanto riguarda i contratti “di durata”, in cui le parti si vincolano per un esteso periodo per guadagnare vantaggi economici dalla cooperazione nel tempo.

Un insieme di posizioni giuridiche in cui lo “scambio” alla base del contratto è stato turbato e i diritti vengono “contesi”. Pensiamo ai contratti di locazione di appartamenti, uffici, alberghi e negozi o alle forniture di prodotti non più commerciabili da parte dei negozianti.

Il diritto del proprietario, cui la legislazione d’urgenza anti-Covid 19 non ha sospeso imposte e oneri sugli immobili, contro il diritto del conduttore, beneficiato dal credito d’imposta per il canone di immobili a uso non abitativo (art. 28 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 cd. Decreto Rilancio) ma non del diritto di sospendere i pagamenti nonostante il blocco delle attività. Anzi, il credito d’imposta si applica proprio sul presupposto del regolare versamento degli stessi.

L’indirizzo della Cassazione: «Sospensione, postergazione e riduzione»

A far luce su questo universo è intervenuto un autorevolissimo punto di vista. Quello dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, autore della relazione tematica n. 56/2020 dedicata al «diritto emergenziale anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale». Ne esce un indirizzo forte della Cassazione, che non potrà essere ignorato: una spinta «alla rinegoziazione», unico modo per contemperare «istanze creditorie e debitorie», decisamente migliore per il sistema-Paese rispetto alla terapia più brusca della cessazione del contratto.

Il leitmotiv della Cassazione è «sospensione, postergazione e riduzione». Che significa? I privati, gli operatori commerciali e i Tribunali sono stati scoraggiati dal “fronteggiarsi” usando le norme del diritto dei contratti che curano le sopravvenienze impreviste. Si tratta, su tutte, dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) o dell’impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c.), che hanno il limite di contemplare, quale via maestra, la risoluzione del rapporto contrattuale. 

Spieghiamoci meglio. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione è messa fuori gioco dalla Cassazione per tutto il mondo dei contratti di locazione, affitto o, in generale, dove l’obbligazione è il pagamento di una somma di denaro. Questa infatti è astrattamente sempre possibile agli occhi del diritto, che non ricomprende nell’impossibilità della prestazione l’impotenza finanziaria del debitore.

L’onerosità sopravvenuta

Diverso il ragionamento sulla eccessiva onerosità sopravvenuta, che protegge i contraenti di fronte a un’inattesa sproporzione tra i valori delle prestazioni. Una società attiva nel mercato short rent che ha locato un palazzo per fare attività paragonabile a quella di Airbnb con turisti ha subito infatti una “eccessiva onerosità indiretta”, cioè una speciale diminuzione di valore reale della prestazione da ricevere (la disponibilità del palazzo).

Una società di trasporto di beni tra Italia e Usa a mezzo aereo, stante il blocco dei voli, ha invece subito a una “eccessiva onerosità diretta”, cioè un inusuale aumento di costo della prestazione da eseguire. Gli esempi potrebbero continuare, si tratta di casi in cui sarebbe possibile agire in giudizio per eccessiva onerosità sopravvenuta, ma solo, codice alla mano, per risolvere il contratto, salvo che il contraente avvantaggiato – e non chi lamenta il danno – opti per la modifica delle condizioni.

Il principio della «causa di forza maggiore»

In questo quadro, la Cassazione invita invece parti e giudici a utilizzare i principi generali del diritto, come guide nello sfilacciato tessuto sociale odierno: buona fede, cooperazione, principio costituzionale di solidarietà sociale, sino – questa è una novità – il principio della «causa di forza maggiore», nonostante non esista una sua definizione normativa nel nostro ordinamento.

L’obiettivo pare quello di leggere il diritto privato in ottica di sistema per evitare la «terra bruciata delle relazioni d’impresa come di quelle fra privati cittadini». Sarà probabilmente più facile per cittadini e imprese che lamentano un danno dalla pandemia agire in giudizio per domandare, non la risoluzione del rapporto, ma la modifica (ad esempio, la riduzione dei canoni di locazione o affitto).

Ciò con impatto anche sui contenziosi in essere. Chi ha agito in giudizio per risolvere contratti di durata (cosa che comporta comunque il pagamento del dovuto sino alla domanda di risoluzione, oltre che di una indennità di preavviso), potrà provare a mutare la domanda in una richiesta di riduzione, davanti alla quale, ove non riescano le parti, saranno probabilmente i giudici a prendersene la paternità, sforzandosi a salvaguardare l’esistenza del contratto, alla luce del nuovo contesto economico.

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