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Altre Piacenza, 21 anni fa nella caserma di Pisa tra droga e nonnismo moriva il parà Scieri – Le indagini

27 Luglio 2020 - 09:06 Fabio Giuffrida
scieri
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Non si è ancora raggiunta la verità per la morte di Emanuele Scieri, il militare trovato morto in circostanze misteriose alla Gamerra di Pisa dove, come scoperto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, succedeva di tutto

Quello che è successo a Piacenza – con i carabinieri che avrebbero spacciato droga, torturato presunti pusher e persino organizzato orge con escort – ha indignato tutta l’Italia. Ma non è la prima volta che accade. Ce lo insegna il caso Scieri, il parà siciliano della Folgore che, ad appena 26 anni, è stato trovato morto il 16 agosto 1999, in circostanze misteriose, alla Gamerra di Pisa. Un suicidio, dicevano. E, invece, grazie all’infaticabile lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta, si è scoperto che in quella caserma succedeva di tutto: dallo spaccio di droga al presunto ingresso di prostitute negli uffici fino agli atti di nonnismo.

Emanuele Scieri

Ed è il nonnismo ad essere costato caro a Emanuele Scieri, laureato in Giurisprudenza, che mai avrebbe accettato di subire soprusi. Il 26enne, secondo la Procura militare di Roma, sarebbe stato ucciso da tre ex commilitoni. Lo avrebbero costretto ad arrampicarsi su una scala di sicurezza della torre di prosciugamento dei paracadute e avrebbero fatto pressione con gli scarponi sulle nocche delle dita fino a fargli perdere il controllo del suo corpo. Così Emanuele sarebbe precipitato morendo poco dopo. L’aspetto più inquietante della vicenda è che lo avrebbero lasciato a terra, ancora agonizzante. Insomma, lo avrebbero potuto salvare.

La “zona franca” nella caserma di Pisa

La Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Emanuele Scieri è stata presieduta da una donna: la deputata Sofia Amoddio del Partito Democratico. A lei si devono le inquietanti scoperte su quello che accadeva in quella caserma e, dunque, le successive riaperture delle indagini sia da parte della Procura militare che di quella ordinaria. Dopo 19 anni, infatti, sono stati indagati tre ex commilitoni: uno di loro è stato arrestato (ora ha solo l’obbligo di firma). «Questo è l’unico caso in Italia in cui la politica è arrivata prima della magistratura», commenta l’ex deputata Sofia Amoddio a Open. Ma cosa succedeva in quella caserma? Esattamente come a Piacenza si era creata una vera e propria «zona franca».

Lo spaccio di droga

L’ex generale della Folgore Enrico Celentano, nel corso delle audizioni, ha ammesso di essere venuto a conoscenza dell’esistenza di «numerosi punti in cui il muro di cinta poteva essere scavalcato e che fosse un’abitudine diffusa fra gli allievi quella di uscire dalla caserma scavalcando il muro». Ed è da questi «varchi illegali» che, come emerge dalle dichiarazioni dei militari riportate sulla relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta, «si immetteva della droga nella caserma». 

Nel magazzino di casermaggio uno dei caporali «non solo faceva uso di droghe, ma le spacciava anche». Il magazzino del casermaggio si trovava nello stesso cortile in cui è stato ritrovato, a distanza di giorni, il corpo di Scieri. Proprio di fronte alla scala. Uno spazio di «relax» in cui uno dei militari «trascorreva tutto il giorno fumando spinelli» in compagnia di altri colleghi. Secondo un’altra testimonianza, c’era anche chi «coltivava piantine di marijuana» all’interno della caserma. In barba a ogni legge.

La droga, poi, sarebbe stata «venduta anche dentro la caserma»: in altre occasioni, però, alcune dosi sarebbero state «regalate agli addetti alla vigilanza armata della caserma, in cambio dell’accondiscendenza» nei confronti del militare che avrebbe gestito lo spaccio.

Le “folgorine”

C’erano anche le cosiddette “folgorine”, «prostitute dei cui servizi usufruivano i militari», donne che avrebbero avuto accesso agli alloggi dei parà. Molti i profilattici – tutti usati – trovati dagli abitanti del quartiere proprio «in corrispondenza dei punti di scavalcamento del muro». Una coincidenza?

«Anche all’interno della caserma di Pisa c’erano i carabinieri ma chissà se hanno visto qualcosa. Noi non abbiamo riscontri per dirlo. A Piacenza, così come all’epoca dei fatti a Pisa, spiace vedere che i vertici non sapessero nulla di quello che accadeva nelle caserme. Gravissimo. Tuttavia dobbiamo continuare ad avere fiducia nelle forze dell’ordine: in ogni settore c’è chi, pur indossando una divisa, non crede nelle istituzioni».

Le indagini

Per accertare la verità dei fatti si stanno muovendo due procure. Quella militare e quella ordinaria. La magistratura militare, ai primi di giugno, ha chiesto il rinvio a giudizio per tre ex caporali (Alessandro Panella, Luigi Zabara e Andrea Antico, l’unico ancora in servizio nell’Esercito) accusati di «violenza a inferiore mediante omicidio pluriaggravato in concorso». Il 17 luglio si è tenuta l’udienza preliminare: il ministero della Difesa, in questo procedimento, avrà un doppio ruolo. Sarà parte civile e responsabile civile (su richiesta della famiglia della vittima).

La procura ordinaria di Pisa, invece, ha notificato a cinque persone l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. L’accusa ai tre ex caporali è di omicidio volontario. In questo caso si attende la fissazione dell’udienza preliminare.

Il rientro della salma di Emanuele Scieri

Intanto è rientrata in Sicilia, al cimitero monumentale di Noto (Siracusa), la salma di Emanuele. Il suo corpo, infatti, era stato riesumato il 14 maggio 2019 per permettere alla Procura di Pisa di effettuare un’ulteriore autopsia. «Bentornato Lele, non ti disturberemo più» ha detto Carlo Garozzo, amico di Lele e presidente del Comitato che chiede giustizia per il parà.

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