Da Piazza Tahrir a TikTok: così le donne egiziane sfidano la repressione di al-Sisi e rilanciano il #Metoo

Prima la denuncia tramite Instagram di uno stalker seriale. Poi l’arresto di cinque influencer di TikTok. La battaglia delle donne contro l’oppressione si è spostata sui social

I social erano stati uno dei motori della Primavera Araba, dimostrando la grande capacità dei giovani di mobilitarsi e organizzarsi. L’arena politica si era spostata dal reale al virtuale: l’avevano capito bene anche le donne in Egitto, scese in Piazza Tahrir per chiedere la caduta del regime di Mubarak. In quei giorni migliaia furono torturate, rapite, violentate dalle autorità. Ora i social sono tornati a veicolarre il loro grido di dolore contro le violenze del governo del presidente Fattah al – Sisi.


«Video contro la morale pubblica»

Il 27 luglio le autorità egiziane hanno emesso la prima sentenza contro cinque influencer di Tik Tok. Le ragazze sono state condannate a cinque anni di reclusione per aver condiviso video ritenuti “indecenti” sulla piattaforma. Le giovani sono state anche multate per l’equivalente di 16mila euro e attivisti e attiviste hanno lanciato una campagna per ottenere la loro scarcerazione. Le due influencer condannate sono Mawada al-Adham e Haneen Hossam: oltre a «video che vanno contro la morale pubblica», hanno postato anche «foto indecenti». Le altre tre giovani sono state ritenute colpevoli di aver partecipato a video-chiamate indecenti con uomini.


Negli ultimi tempi in Egitto ci sono stati vari arresti di giovani popolari su Tik Tok. Hossam, che era stata arrestata in aprile, aveva illustrato ai suoi 1,3 milioni di follower come le ragazze potessero far soldi lavorando con lei.

«Assault Police»: la pagina Instagram per denunciare abusi

Un’arena di denuncia di cui il governo vuole appropriarsi, come sta facendo per tutte le altre “piazze” social – e non – in cui i giovani stanno trovando la loro forza per condannare la repressione del regime. Un mese fa l’attivista Sabah Khodir, in auto esilio a Washington dopo aver subito atroci violenze durante le proteste di Piazza Tahrir, ha fondato la pagina Instagram «Assault Police» per offrire alle donne egiziane una piattaforma per denunciare anonimamente i contatti avuti con uno stalker e violentatore seriale: Ahmed Bassam Zaki. Per settimane il 22enne – arrestato a inizio luglio – ha contattato, invitato donne a incontrarsi con lui e minacciato che se non avesse ottenuto ciò che voleva avrebbe diffuso voci sul loro conto alle famiglie e nelle comunità. Grazie a quelle testimonianze nate su Instagram lo stalker è stato arrestato dando vita in Egitto a una nuova ondata del movimento #MeToo.

Dal reale al virtuale: la repressione del governo colpisce anche attività non politiche

Ma neanche nello spazio virtuale le donne sono veramente libere. E così il governo di al-Sisi – in quella che negli ultimi mesi è stata una recrudescenza dell’oppressione del governo egiziano su attivisti e giornalisti – ha deciso di perseguire le voci libere del Paese anche sui social. «Il governo egiziano è impegnato in una campagna per arrestare e perseguire le donne influencer su TikTok per aver violato» i valori della famiglia egiziana e «incitato alla dissolutezza e all’immoralità», ha dichiarato l’organizzazione per i diritti digitali «Access Now» in una nota.

Le autorità egiziane «non vogliono solo controllare ciò che dicono i cittadini, ma anche come dovrebbero vestirsi, parlare e comportarsi online», ha affermato Marwa Fatafta, responsabile del gruppo per il Medio Oriente e il Nord Africa. Nel 2018 sono state approvate leggi severe che consentono alle autorità di bloccare i siti Web visti come una minaccia alla sicurezza nazionale e di monitorare gli account personali sui social media con oltre 5mila follower. «In passato, il regime egiziano ha rafforzato la sua roccaforte su Internet. Ora, la repressione online si estende anche alle attività non politiche».

In copertina Khaled Desouki/AFP