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Scuola, oggi la riunione chiave del Cts. Crisanti: «Le misure del governo? Antiscientifiche. Così rischiamo tutto» – L’intervista

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La posizione dell'epidemiologo è chiara: prima di parlare di distanziamento con i banchi singoli, bisogna avere una strategia per tenere fuori i casi positivi

«Tutto dipenderà dai dati sull’epidemia», ripetono dal Comitato tecnico scientifico. In Italia, il futuro della scuola è legato indissolubilmente all’andamento dei contagi da Coronavirus e alla loro gravità. Con i numeri in risalita, i dubbi su ciò che sarà a settembre hanno travolto famiglie, dipendenti e i dirigenti scolastici. Chi di dubbi non ne ha affatto, invece, è Andrea Crisanti, l’epidemiologo di Padova che ha contribuito a contenere la prima ondata di Sars-Cov-2 in Veneto. «Quelle stilate per la scuola sono misure passive, che nessuno ha mai sperimentato e che non serviranno a nulla», ha detto a Open. «Siamo davanti a un enorme spreco di denaro pubblico».

Dopo la retromarcia sull’obbligo di distanziamento di due metri, oggi, 19 agosto, il Cts discuterà delle condizioni di ripresa in vista del 14 settembre. Uno dei membri, il professor Luca Richeldi, ha riconosciuto che le condizioni di ripresa non sono quelle ideali (anzi, «sono le meno peggio») spiegando che però non si poteva «essere troppo rigidi» per evitare di rimandare ancora. Per Crisanti, però, si tratta di un approccio totalmente sbagliato che manca l’obiettivo principe: salvaguardare la comunità dal virus.

A inizio agosto, il direttore del dipartimento di Virologia e Microbiologia di Padova aveva presentato un piano di rientro in aula dai 4 semplici punti: misurare la temperatura agli ingressi, fare i vaccini antinfluenzali, deresponsabilizzare i presidi e avere la possibilità di interdire l’accesso alle scuole (fino al tampone di verifica) ai residenti nelle zone in cui sono presenti dei cluster. A oggi le linee guida per la ripartenza della didattica in presenza presentate dalla ministra Lucia Azzolina viaggiano su binari completamente diversi.

Un approccio «burocratico» e «inefficace»

La posizione di Crisanti è netta. Se si tornerà in aula alle condizioni esistenti, non saremo in grado di garantire la salute «né del personale degli istituti, né della comunità». Per l’epidemiologo, quelle prese dai Ministeri e dal Cts sono misure burocratiche, pensate in un ordine distorto rispetto a come si dovrebbe: «sono misure artificiali – dice Crisanti – applicate solo per poter dare uno scudo di responsabilità ai presidi. Ma invece di dare regole blande (e inefficaci) per evitare che vengano violate, si sarebbe dovuta togliere la responsabilità penale a prescindere».

Un approccio di natura meramente amministrativa, dunque, che non ha alcun fondamento scientifico (su tutti l’abbassamento del distanziamento fisico a sotto un metro) e che manca totalmente l’obiettivo primario. E che oltretutto ha lasciato scontenti gli stessi presidi, che ora si trovano a dover fare i conti con delle misure minime fumose e tardive, che difficilmente proteggeranno le scuole dai focolai.

Il punto non è evitare i contagi in classe, ma «evitare che gli infetti entrino»

La ministra Azzolina, pur dovendo fare i conti con le tempistiche della consegna dei banchi e l’allocazione dei fondi, ha ripetuto che il distanziamento fisico nelle scuole è il grande punto di forza della gestione italiana del rientro. È vero, sì, che quella del distanziamento è una misura preventiva fondamentale per contenere la catena di contagio. Ma è anche vero che si basa sul riconoscimento implicito di una sconfitta di partenza: l’incapacità di isolare e allontanare i casi positivi.

«Pensiamo ai banchi singoli, spendiamo due miliardi e più di risorse per misure del genere – dice Crisanti – e non ci rendiamo conto che l’obiettivo primario è quello di non far entrare gli infetti». Le disposizioni del Ministero in merito sono in effetti assai blande: basterà che i tutori dei bambini e dei ragazzi misurino la temperatura a casa e, qualora avessero una febbre a partire dai 37,5 gradi, non li facciano andare a scuola.

«Ma ci rendiamo conto?», insiste l’epidemiologo. «È qualcosa di quanto più antiscientifico ci possa essere. Dobbiamo fare affidamento su una misurazione della temperatura fatta in casa, in maniera disomogenea da famiglia a famiglia? Fa rizzare i capelli una stupidaggine del genere».

Oltretutto, è chiaro che se la maggior parte delle manifestazioni della Covid-19 tra i giovani sono asintomatiche, la soglia dei 37,5 gradi non centra l’obbiettivo. E a rischiare di mescolare ancora di più le carte c’è il fattore influenza stagionale: «Se non si fa il vaccino anti-influenzale – spiega Crisanti – ci sarà un’enorme spreco di risorse e di tempo a isolare casi non problematici e a rintracciare catene di contagio fasulle. E in un periodo così difficile – conclude – di tutto c’è bisogno tranne che di sprecare soldi e energie».

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