Il «piano nazionale» segreto sulla pandemia: la crisi prevista sulle terapie intensive, il richiamo alle Regioni a seguire il governo

Il documento aveva stimato ad almeno 34 mila il fabbisogno nazionale di posti letto in terapia intensiva in caso di livello più grave della pandemia. Ma in quel momento il Ssn disponeva di appena 1.597 posti liberi

Prevedeva tre scenari di graduale gravità il «Piano sanitario nazionale per la risposta a un’eventuale pandemia da Covid-19» rimasto segreto finora per volontà degli esperti del Cts, preoccupati che le cifre contenute nelle 40 pagine del documento potessero allarmare più del dovuto l’opinione pubblica.


Come rivela il Corriere della Sera, il “piano” è stato redatto il 19 febbraio, giorno del ricovero del paziente 1 a Codogno, e concluso il 22 febbraio sulla base dei dati che una settimana prima il matematico della fondazione Kessler, Stefano Merler, aveva stilato nel suo studio sulle proiezioni epidemiologiche sulla possibile diffusione del Coronavirus, basandosi sui dati fino a quel momento noti sulla diffusione in Cina.


Il Piano quindi esiste, a differenza di quanto dichiarato dal ministro della Salute Roberto Speranza, che lo aveva derubricato a studio scientifico sulla pandemia. In quel documento sono fissate le priorità imprescindibili per affrontare la pandemia fino alla sua forma più grave: dall’avere scorte sufficienti di dispositivi di protezione fino alla disponibilità adeguata dei posti in terapia intensiva nei vari ospedali italiani.

Proprio in quei giorni, però, l’Italia andava in soccorso della Cina con una fornitura di mascherine, guanti e tute, quando i contagi sembravano coinvolgere più Wuhan che il resto del mondo.

I tre scenari

Dei tre scenari previsti dal Piano, sono quelli con rischio 2 e 3 a contenere le informazioni che più potevano allarmare, prevedendo una necessità di posti in terapia intensiva fino a 34 mila nel caso in cui la pandemia avesse raggiunto l’indice di contagio di almeno 1,25. L’analisi dei posti disponibili faceva emergere una disponibilità di 5.324 posti letto nelle terapie intensive, di cui l’85% erano già occupate.

Pur sfruttando il 15% rimanente e cercando di liberare altri posti con la sospensione delle operazioni chirurgiche, il Sistema sanitario nazionale avrebbe potuto mettere a disposizione solo altri 1.597 posti letto.

Interventi tempestivi

E sono poi i messaggi di metodo all’inizio del documento a richiamare la memoria a quanto accaduto nei primi giorni di gestione dell’emergenza sanitaria. Alla luce della pericolosità della pandemia dimostrata dallo scenario cinese, il piano indicava la necessità di «misure di contenimento tempestive e radicali» per tenere l’indice R0 sotto il livelli di guardia e contenere i contagi.

E poi, riporta il Corriere, in grassetto è scritto: «Dalla conferma del primo caso di trasmissione locale diventa fondamentale attivare tempestivamente misure di contenimento».

No all’ordine sparso

Quanto poco tempestive e sistematiche siano state le reazioni ai primi contagi lo ricordano le cronache dei giorni successivi ai primi casi in Lombardia e Veneto, con gli operatori sanitari che lamentavano l’assenza di indicazioni chiare a livello nazionale sul da farsi davanti ai primi casi positivi.

Il Piano prevedeva l’attivazione di un «Coordinamento nazionale che opera secondo un modello decisionale centrale ben definito – si legge nel documento – e un mandato forte e direttivo che, nel rispetto delle singole organizzazioni regionali, definisce l’efficenza degli interventi da attuare ma soprattutto l’efficacia delle azioni pianificate».

Il Piano ribadiva quindi alle Regioni di seguire le indicazioni del governo, mettendo da parte le «differenze programmatiche» contenute nei rispettivi piani di emergenza. Differenze e distinguo negli interventi che però non sono mancati nel corso dei mesi cruciali dell’emergenza, con lo scontro tra governatori e con lo stesso governo a tenere banco fino a oggi.

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