La tardiva zona rossa in Lombardia nei verbali del Cts, il comitato delle vittime: «Allora non è stato il virus assassino»

«Non siamo stati di fronte ad una pandemia, ma all’ennesimo caso di malagestione italiana», ha attaccato Luca Fusco, presidente del comitato Noi denunceremo

«Riteniamo che i contenuti dei documenti emersi, particolarmente quelli che anticipano il lockdown nazionale, denotino che chi ha ammazzato la nostra gente non siano stati il nemico invisibile o il “virus assassino”». È durissimo l’attacco di Luca Fusco, presidente del comitato Noi denunceremo, dopo aver iniziato a prendere visione dei documenti desecretati dei verbali del Cts sull’emergenza Coronavirus.


«Ci chiediamo come si possa arrivare alla terza settimana dalla dichiarazione dello stato di emergenza senza avere una cernita completa dei letti a disposizione negli ospedali, particolarmente nelle terapie intensive. O come si possa aver pensato che non fosse necessario tracciare gli asintomatici» ha spiegato Fusco.


«Non siamo stati di fronte ad una pandemia – ha aggiunto – ma all’ennesimo caso di malagestione italiana». «Come rappresentanti dei familiari delle vittime ci sentiamo umiliati ed offesi. Crediamo che quei documenti rappresentino un oltraggio alla decenza ed al pudore. Per questo motivo, non intendiamo rilasciare dichiarazioni alla stampa. Il nostro silenzio sarà il silenzio di tutti i familiari delle vittime», ha concluso Fusco.

Le zone rosse nei documenti

Dai primi 95 verbali del Cts, pubblicati ieri pomeriggio sul sito della Protezione civile, emerge come il piano segreto per contrastare l’epidemia esistesse già da febbraio, ed è stato poi adottato dal governo all’inizio di marzo. Non è ancora però stato reso pubblico, perché il 2 marzo il Comitato tecnico scientifico sottolineò come fosse necessario mantenerne il contenuto riservato.

Nei documenti si ravvisano le diverse posizioni degli esperti, gli attriti, così come le decisioni cruciali prese nei primi mesi dell’emergenza. Il verbale più consistente risale al 7 marzo, quando già appare evidente come l’infezione si stesse diffondendo molto rapidamente e gli ospedali iniziassero ad andare verso la saturazione.

Già il 28 febbraio era stata sottolineata la necessità di interdire l’accesso ad alcune aree. Gli scienziati avevano proposto di superare la differenza tra zone rosse e gialle, chiedendo una stretta ulteriore per la Lombardia e le province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova e Treviso, Alessandria e Asti. Due giorni dopo verrà deciso il lockdown per l’intero Paese.

Risale invece al 3 marzo la richiesta del Cts sulla zona rossa per Alzano e Nembro, in provincia di Bergamo. Ma dalle autorità non venne presa una decisione in merito. Su questo episodio c’è in corso un’indagine della Procura.

«Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto superiore di sanità i dati relativi ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro, entrambi situati in provincia di Bergamo, che sono poi esaminati dal Comitato tecnico scientifico – si legge nel verbale – A proposito sono stati sentiti per via telefonica l’assessore Gallera e il direttore generale Caiazzo della Regione Lombardia, che confermano i dati relativi all’aumento nella regione in particolare nei due comuni sopra menzionati».

Il comitato quindi proponeva «di adottare le opportune misure restrittive, già adottate nei comuni della zona rossa, anche in questi comuni al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà essere in futuro applicato in contesti analoghi».

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