Coronavirus, i numeri in chiaro. L’immunologa Viola: «L’epidemia è ormai stabile. A scuola farei tenere la mascherina anche al banco»

«Siamo nella condizione di riaprire le scuole», dice la scienziata. «Ma il punto sarà non richiuderle. La sfida è quella della gestione di bambini e ragazzi con l’arrivo dell’influenza». La misurazione della temperatura a scuola? «I termoscanner aiuterebbero»

L’andamento dei nuovi contagi da Coronavirus in Italia vede oggi – come ieri – numeri in lieve risalita: +1.434 nelle ultime 24 ore, +1.370 ieri, +1.108 due giorni fa e +1.297 tre giorni fa, secondo i dati riportati quotidianamente dai bollettini diffusi da Protezione Civile e ministero della Salute. Ma, chiarisce l’immunologa dell’Università di Padova Antonella Viola, «non dobbiamo spaventarci».


Ormai «è un andamento che abbiamo visto e che dipende dal numero dei tamponi», spiega. Nel fine settimana i tamponi sono un po’ meno, «quindi registriamo anche un minor numero di contagi. L’andamento, insomma, si è ormai stabilizzato, anche se su un livello più alto di quello che vedevamo un mese fa».


Grafica di Vincenzo Monaco

Antonella Viola, a suo avviso quindi il trend dei contagi è destinato a rimanere quello che vediamo in questi giorni?

«Per il momento sembrerebbe di sì. Se ci fosse stato un aumento esponenziale, oggi vedremmo numeri molto più alti. Siamo quindi riusciti a contenere i contagi, a identificarli e a mettere in atto tutte le misure di quarantena, isolamento e così via».

Rispetto a questo quadro epidemiologico, la risposta di governo e istituzioni le appare adeguata?

«Per il momento non siamo in una situazione di emergenza ma sotto controllo. Certo, saremmo stati tutti più contenti di avere numeri più bassi, ma si tratta di cifre ancora accettabili. Anche perché, poiché l’età media è ancora molto bassa, molti sono paucisintomatici. Tutto è sfalsato di 15 giorni ma ovviamente, aumentando i contagi, aumentano anche i ricoveri e le terapie intensive: anche lì per il momento siamo ancora a livelli che ci permettono senza dubbio di riaprire la scuola senza alcun problema in tutto il paese».

Dove ci si contagia oggi?

«Principalmente in due modi. Da un lato soffriamo senza dubbio ancora dei rientri dalle vacanze, dall’altro ci sono contagi sui posti di lavoro e quindi dei focolai in alcune aziende».

La scuola, diceva. Il premier Giuseppe Conte ha ribadito in conferenza stampa che si tornerà in classe il 14 settembre in tutta Italia (o quasi, visto che ci sono sette regioni che hanno deciso di posticipare). Cosa ci dobbiamo aspettare, da quella data in avanti?

«Il problema è certamente organizzativo, ma quello è un aspetto su cui non commento, giacché non è il mio ambito. Dal punto di vista sanitario posso dire che riaprire non è un problema, siamo nelle condizioni di farlo. Il punto sarà gestire i casi positivi che si verificheranno – ne abbiamo già visti alcuni in questi giorni. E quindi mantenere le scuole aperte. La sfida – che vedono all’orizzonte scienziati e pediatri – è quella della gestione dei ragazzi e dei bambini con l’arrivo dell’influenza: un momento che andrà a saturare completamente il sistema dei tamponi e della diagnostica. Si creerà un collo di bottiglia e la situazione diventerà difficile di gestire».

Le procedure per la vita in classe in questi tempi di convivenza col virus avranno bisogno della prova dei fatti. Ma a suo avviso le regole previste sono sufficienti?

«Credo che una raccomandazione importante da dare sia quella di arieggiare frequentemente le classi, per evitare che diventino incubatrici di virus: mi sembra il minimo da chiedere. Per l’uso delle mascherine – se non altro per studenti e studentesse più grandi, dalle scuole medie in su – ecco, le avrei tenute anche quando sono seduti in classe.

Perché è un ambiente chiuso, si è in tanti, può capitare di fare uno starnuto, e lì il metro di distanza non serve a niente perché in quel caso le goccioline possono arrivare anche a cinque metri. La mascherina non è un grosso fastidio e in quel caso i ragazzi avrebbero potuto tenerla. Si è invece previsto di farla togliere quando si è seduti al banco: questa è l’unica cosa su cui non sono d’accordo».

E sulla misurazione della temperatura?

«Non si sono voluti creare assembramenti davanti alle scuole, e quindi verrà misurata a casa. Certo, sarebbe stato utile avere una misurazione anche a scuola: francamente voglio proprio vedere i ragazzi e le ragazze delle scuole medie e del liceo che la mattina si mettono il termometro e si misurano la temperatura (sorride). Magari con i bimbi piccoli lo faranno i genitori, ma con i ragazzi più grandi no e forse sarà più rischioso. I termoscanner sarebbero stati utili e restano un aspetto da implementare. Noi al lavoro ce l’abbiamo, e nel nostro istituto lavorano circa 400 persone».

E sulla durata dell’eventuale quarantena per la scuola cosa consiglia? La Francia ha deciso di portarla a sette giorni.

«L’Organizzazione mondiale della sanità ha appena ribadito che servono 14 giorni. Il termine di sette giorni è rischioso perché per alcune persone può effettivamente essere sufficiente per non essere più contagiose, ma non per tutte. A mio avviso è necessario affiancare il discorso della quarantena a una previsione di test rapidi che ci devono dire se una persona ha il virus o no. Danno i risultati in pochi minuti, costano poco, non vanno a caricare il sistema dei tamponi. Solo a quel punto si può accorciare la quarantena. Farlo a sistema per tutti, senza un controllo della carica virale, mi sembra invece un po’ rischioso».

Leggi anche: