Domenica, ore 8.30. Un gruppetto di dieci persone, senza cartelli e striscioni, prova ad avvicinarsi al palco dove, nel giro di un’ora, arriverà Matteo Salvini. La Digos blocca immediatamente i curiosi: «Non potete passare». Durante la discussione, continua a radunarsi gente al di là delle transenne, poste a circa 200 metri dal luogo del comizio del segretario della Lega. Un agente tira fuori una telecamera e inizia a riprendere i volti di chi si trovava dall’altro lato del cordone, manifestanti e non.
Palo del Colle, 13 settembre: la cittadina a pochi chilometri da Bari si sta preparando al voto per le elezioni comunali e regionali che si terranno tra una settimana. «Siamo liberi cittadini, ma siamo stati privati della nostra libertà di movimento, senza che costituissimo una minaccia per nessuno», dice una donna, tra le prime arrivate. «La cosa più brutta – afferma una signora di 60 anni – è che mentre eravamo fermi, pacifici, a osservare la situazione, un agente ha incominciato a schedarci: prima ha preso i nostri documenti, poi con la telecamera ha passato in rassegna le nostre facce».
Un avvocato, arrivato insieme ai manifestanti, ha provato a convincere la Digos che il comportamento delle forze dell’ordine era ingiustificato: «Questa è una repressione delle libertà costituzionali: di pensiero, di manifestazione – grida. Poi, ai microfoni di Open, aggiunge -. C’è un dispiegamento spropositato di forze di polizia per bloccare una pacifica manifestazione di dissenso. Noi siamo qui solo per raccontare la storia della nostra terra, inclusiva e solidale. Ma oggi lo Stato ci sta impedendo di farlo con i mezzi garantiti dalla legge».
Mentre la protesta si rinvigorisce – si contano una cinquantina di manifestanti alle 9 -, Salvini e la sua scorta arrivano nell’area designata per il comizio: il dehors di un bar, allestito davanti alla scuola media del paese che, tra sette giorni, diventerà un seggio elettorale. «Salvini non vuole ricordare il passato perché ha bisogno di venire qui a racimolare consensi – afferma una ragazza -. Ciò che vogliamo è che chieda scusa, prima di venire a fare un comizio nella nostra terra, per averci chiamato “colerosi e terremotati”».
Il riferimento è alla Festa di Pontida del 2009. «Salvini è la persona che, a proposito della riforma della scuola del 2014, diceva che uno dei problemi principali era “Bloccare l’esodo degli insegnanti precari meridionali al Nord”». Un anziano che si mantiene nelle ultime file della manifestazione spiega così il suo dissenso: «Salvini non parla del passato della Lega perché più conveniente rimuovere dalla memoria collettiva quello che ha fatto il suo partito nei nostri confronti. Ma noi non possiamo dimenticare le frasi razziste di Bossi, Borghezio e anche le sue. Non possiamo, per la dignità nostra e dei nostri figli chiamati “terroni” da quella gente».
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