Aria da resa dei conti tra Pd e M5s, Renzi e Zingaretti a bomba sul Mes. E Di Battista va in Puglia contro Emiliano

Da “sinistra”, da un lato, si getta il sasso e si rilancia sul Mes, su cui «i grillini cambieranno certamente idea dopo le elezioni», dall’altro si prova a minimizzare l’effetto della tornata elettorale

È sempre lui, il Meccanismo europeo di stabilità, a creare scompiglio e tensione nella maggioranza di governo alla vigilia delle elezioni regionali e della consultazione referendaria in cui (nonostante quel che si dica dal Nazareno) il Pd si è fatto trascinare di necessità virtù sulle posizioni dell’alleato di governo grillino.


Ed è sul Mes che dal centrosinistra Matteo Renzi e Nicola Zingaretti “stuzzicano” in queste ore il Movimento 5 Stelle. Rimandando la resa dei conti al post elezioni. Sullo sfondo, le parole di tutti i leader di maggioranza – Luigi Di Maio incluso: niente rimpasto, no. Niente crisi. Comunque vada.


Il Mes

No, no e ancora no, ribadisce Di Maio dal Movimento 5 Stelle. I grillini si sono sempre detti contrari, e questo, in campagna elettorale, pesa. «Se noi alimentiamo il dibattito sul Mes non facciamo nient’altro che creare tensioni nella maggioranza», dice il ministro degli Esteri. «Abbiamo ottenuto questi 209 miliardi, in parte a fondo perduto, lavoriamo a spendere bene quelli. Abbiamo vinto quel negoziato e ora diciamo all’Ue non ci bastano e ce ne andiamo a prendere altri, anche perché i soldi del Mes non sono regalati, sempre debito sono».

Di Maio dunque continua a tenere il punto. Ma lo farà ancora, dopo il 21 settembre? Al Pd lancia un ramo d’Ulivo. «Le Regionali andavano gestite in maniera completamente diversa. Io non credo nei candidati terzi, anche in Umbria andò male. Noi in vista delle Comunali del 2021 dobbiamo lavorare a candidati politici che sappiano amministrare», dice.

Renzi stuzzica i grillini

A giocare il ruolo di Cassandra – o a provarci – mettendo in fila gli elementi su quello che potrebbe accadere nel day after (dopo le elezioni regionali e dopo il referendum), è il leader di Italia Viva ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. «Sul Mes non si scherza», dice al Sole 24 Ore. «I grillini devono passare le regionali prima di cedere ma tutti sappiamo benissimo che il governo europeista di Conte chiederà l’aiuto dell’Europa sul Mes. I grillini cambiano idea su tutto pur di restare in Parlamento: Tap, Tav, Olimpiadi, Mattarella, Merkel e Macron, vaccini», chiosa Renzi.

L’ex presidente del Consiglio vaticina anche sul futuro della maggioranza. Il giorno dopo il voto, qualunque sia il risultato nelle regioni e per il referendum sul taglio dei parlamentari, non ci sarà alcun rimpasto. E Giuseppe Conte resterà al suo posto, recita il mantra del saggio ormai da giorni. Rimpasto? «Figuriamoci se parlo dei ministri altrui. Non credo sia necessario, in tutta sincerità. Meno task force, meno dirette Facebook, meno Stati Generali e più soldi a aziende e lavoratori». Certamente il referendum è «il più inutile della storia» – e in comparazione alla riforma Renzi-Boschi di quattro anni fa soprattutto, dice ovviamente – ma tant’è.

D’altro canto, parola di Renzi in questi giorni, «le scatole di Maalox dell’accordo coi grillini servono a tenere l’Italia in Europa, la maggioranza tiene fino al 2023». Resta da vedere se l’effetto del Maalox è destinato a durare anche a partire dal 22 settembre.

Parla Zingaretti

Sul Mes prova a buttarla sul buon senso il segretario del Partito Democratico. «Penso che le perplessità che si avevano da parte dei 5 Stelle erano legate a una forma di finanziamento che non esiste più, oggi è molto conveniente, su un tema che serve all’Italia, come la sanità. Conte ha detto che verranno coinvolte le aule parlamentari per trovare una soluzione», dice oggi a Mattino 5 Nicola Zingaretti. «Fino a che ci sono cose da fare si va avanti, se il governo si ferma la bici cade, finora abbiamo salvato l’Italia, arriveranno centinaia di miliardi, bisogna spenderli bene».

Anche Zingaretti, che pure ha chiamato i suoi a votare «sì» al referendum sul taglio dei parlamentari, si toglie un sassolino: non dice che è «inutile», come l’ex collega Renzi, ma che «non risolve più di tanto», sì. Quello del partito è «un sì che ha tentato di raccogliere le ragioni dei perplessi, il Pd è da sempre a favore della riduzione dei parlamentari, da accompagnare a una nuova legge elettorale», dice ancora Zingaretti. Tagliare sì, continua a ripetere il leader dem, ma in un ambito di riforme. Un processo «che si era bloccato, ora è ripartito», assicura il governatore del Lazio. «Bisogna andare avanti, non credo che sia in pericolo la democrazia, odio l’antipolitica, non è un problema di costi, è un tema di funzionalità e di superare il bicameralismo perfetto».

Anche Zingaretti “minimizza”, comprensibilmente, il peso della consultazione elettorale del 20 e 21 settembre. Un’eventuale sconfitta in Toscana – esclusa da Renzi, che assicura sulla natura non sovranista della regione – non si tradurrà in una sua crisi come segretario del Pd. «Il tema non è quello, è che non dobbiamo perdere in Toscana perché sennò verrà governata peggio», dice Zingaretti.

Di Battista “piccona” dalla Puglia

Caldi e ormai “consolidati” sono i dossier all’ordine del giorno per il day after. Il Mes, certo, ma anche i rapporti di forza all’interno della maggioranza. Il destino di parecchi nomi di peso, da Zingaretti a (in un secondo momento) Virginia Raggi e il destino della Capitale, rimpasti di sorta, equilibri. Insieme a questioni tutte grilline come il ruolo di Davide Casaleggio nel Movimento stesso, il futuro di lotta e di governo, le maggioranze parlamentari e quelle fuori da Camera e Senato nonché la leadership, questione apertissima tra un capo politico reggente i cui termini sono scaduti, come Vito Crimi, che aveva promesso l’arrivo di “Stati Generali” del Movimento e chissà, e un Luigi Di Maio dimessosi da quel ruolo ma portavoce a tutti gli effetti incontrastato delle posizioni “ufficiali” del M5S.

Ad alzare i toni paludati di un conflitto mantenuto giocoforza sottotraccia – e a portarlo sul palco, nello specifico quello pugliese della candidata grillina Antonella Laricchia, avversaria del governatore uscente di centrosinistra Michele Emiliano, nonché ovviamente di quello di centrodestra Raffaele Fitto – ci pensa lui, e sempre lui, nei suoi eterni ritorni: Alessandro Di Battista. Previsto per stasera un comizio al vetriolo – presente anche l’altra pasionaria, esponente local del Movimento 5 Stelle più di lotta, l’ex ministra Barbara Lezzi.

«La Commissione Antimafia ha appena pubblicato la lista dei candidati impresentabili delle prossime elezioni regionali. In Puglia gli impresentabili sono 3 e 2 di questi corrono nelle liste di Emiliano», scrive Di Battista picconando nel post di annuncio il candidato del centrosinistra. Non già quello di centrodestra.

«Io sono ben contento che scenda Alessandro in piazza, anche noi non abbiamo risparmiato attacchi a Emiliano. Gli attacchi a Emiliano non lo sono al Pd come alleato di governo», dice oggi ostentando coerenza il capo politico (reggente, scaduto) del Movimento 5 Stelle Vito Crimi a Sky Tg24. «Poi è ovvio che non tutte le uscite piacciono a tutti. Anche quando esco io ci sono delle insofferenze. Di Battista ha la possibilità di incidere e darà un grande sostegno a Laricchia».

In un retroscena pubblicato stamane sul Corriere della Sera a firma Alessandro Trocino, la reazione al post di ieri sera dello stesso Crimi sarebbe stata dietro le quinte tutt’altro che pacifica. «Così fai cadere il governo e metti a rischio tutti». La resa dei conti tra la fronda governista e quella ancora allergica al Pd è rimandata al dopo elezioni: il punto è capire se ci sarà o meno la clamorosa sconfitta dei dem a cui mira chi nel Movimento 5 Stelle è contrario all’asse Conte-Zingaretti-Di Maio. Mentre dalle parti del Nazareno non va molto meglio e la tregua tra Stefano Bonaccini e l’attuale segretario è già finita.

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