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Referendum sul taglio dei parlamentari: quando, come, su cosa si vota. E un po’ di storia da Fanfani a Renzi

19 Settembre 2020 - 12:11 Redazione
Trattandosi di referendum confermativo non è previsto il raggiungimento di un quorum: la consultazione sarà valida anche senza la partecipazione della maggioranza degli elettori

La pandemia di Coronavirus e le conseguenze economiche hanno, negli ultimi mesi, assorbito completamente l’attenzione della politica, dei media e dell’opinione pubblica. Non potrebbe essere altrimenti, vista la crisi senza precedenti che stiamo vivendo. Ma l’appuntamento con le urne di domenica e lunedì, 20 e 21 settembre, con i quali insieme al rinnovo dei Consigli regionali si voterà anche per confermare la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, non è cosa di poco conto. Si deciderà infatti se modificare o meno la Costituzione, incidendo sul funzionamento della democrazia rappresentativa e sul cuore dei nostri processi decisionali.

Su che cosa si vota

Sulla scheda gli elettori troveranno una domanda piuttosto semplice:

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?».

Le modifiche in questione prevedono un taglio del 36,5% dei componenti di ambedue i rami del Parlamento, per un totale di 345 seggi in meno. Alla Camera dei deputati il numero di “onorevoli” scenderebbe da 630 a 400, al Senato da 315 a 200. Complessivamente i parlamentari sarebbero 600, invece degli attuali 945. La riforma prevede anche una riduzione dei parlamentari eletti nella circoscrizione estero, che passano da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato.

Altra modifica riguarda proprio il Senato che, da Costituzione, è eletto su base regionale, con i seggi elettivi ripartiti fra le Regioni in proporzione alla loro popolazione. Con questa riforma il numero minimo di senatori per ciascuna Regione scenderebbe da 7 a 3. Invariati invece i seggi assegnati al Molise (2) e alla Valle d’Aosta (1). Contestualmente le provincie autonome di Trento e Bolzano verrebbero equiparate alle Regioni.

I senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica

Si fa poi chiarezza definitiva su una annosa “contesa” tra costituzionalisti ed esperti: il numero massimo di senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica. Con la riforma si precisa che in Aula non potranno essere più di cinque. Fino a oggi, a seconda dell’interpretazione del dettato costituzionale, il limite di cinque senatori poteva essere inteso o come tetto massimo di presenti nell’emiciclo, oppure come limite massimo di nomine a disposizione di un singolo presidente della Repubblica.

I presidenti Sandro Pertini e Francesco Cossiga optarono per questa seconda interpretazione, con il risultato che nel 1992, al termine del mandato di Cossiga, il numero di senatori a vita lievitò fino a undici. Infine, i tempi: dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale, le modifiche saranno effettive a partire dalla data del primo scioglimento delle Camere e comunque non prima che siano decorsi 60 giorni dalla data di entrata in vigore.

Come si vota

A differenza del referendum abrogativo, molto comune nella storia repubblicana, questo sarà un referendum confermativo, vale a dire:

  • il  varrà per confermare la riforma;
  • il No per stopparla;
  • non è previsto il raggiungimento di un quorum, a differenza invece del referendum abrogativo (50% + 1 degli aventi diritto);
  • la consultazione sarà dunque ritenuta valida indipendentemente dalla partecipazione o meno della maggioranza degli elettori.

Come si è arrivati al referendum

L’iter di approvazione della riforma è stato tutt’altro che accidentato, trovando ampie convergenze, proseguendo e compiendosi in assenza di un vero e proprio dibattito. L’articolo 138 della Costituzione fissa la procedura di revisione costituzionale, stabilendo che «le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione».

Anche la riforma sul taglio dei parlamentari ha seguito tale percorso:

  • 7 febbraio 2019: il Senato approva il disegno di legge in prima deliberazione con 185 voti favorevoli, 54 contrari e 4 astenuti.
  • 9 maggio 2019: anche la Camera approva, in prima deliberazione, con 310 voti favorevoli, 107 voti contrari e 5 astenuti.
  • 11 luglio 2019: in seconda deliberazione il Senato approva nuovamente la riforma con 180 voti favorevoli e 50 contrari.
  • 8 ottobre 2019: la Camera dei deputati approva il disegno di legge in seconda deliberazione con 553 voti favorevoli, 14 voti contrari e 2 astenuti.

La legge viene pubblicata in Gazzetta ufficiale il 12 ottobre.

Da dove viene il referendum?

La risposta sta sempre nell’art. 138 della Costituzione:

  • se in seconda deliberazione la legge viene approvata dalle Camere a maggioranza di due terzi dei componenti, quindi con un largo consenso, non si dà luogo ad alcun referendum;
  • se ciò non avviene, come nel caso dell’approvazione in Senato l’11 luglio 2019, quando la maggioranza fu inferiore ai due terzi, ecco che scatta la possibilità di chiedere che la legge sia sottoposta a referendum;
  • entro tre mesi dalla sua pubblicazione possono farne richiesta un quinto dei membri di una Camera, oppure cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali (in questo caso sono stati 71 senatori a chiederlo).

Tutti i tentativi di riforma finora compiuti

Non è la prima volta che si discute di un taglio al numero dei parlamentari. Da decenni si parla di una rimodulazione nell’ambito, però, di una complessiva riforma istituzionale che superi il bicameralismo paritario italiano. Un Parlamento composto da due Camere che hanno stessi, identici, poteri e funzioni rappresenta un unicum nel mondo. Non sarebbe comunque questo il caso, perché qui si interviene solo sul numero dei parlamentari con un taglio lineare.

La riforma Fanfani del 1963

Quando entra in vigore la Costituzione repubblicana, nel 1948, all’interno del suo sistema di pesi e contrappesi non è previsto un numero massimo di deputati e senatori. Ma nel 1963, durante il governo Fanfani IV, come ultimo atto prima dello scioglimento delle Camere viene approvata una riforma costituzionale che fissa a 630 il numero dei deputati e a 315 il numero dei senatori. Ben presto però aumentano eletti ed elezioni, perché nel 1970 si tengono le prime regionali e nel 1979 si vota per le prime europee.

Gli anni ’80

Nel dibattito pubblico inizia a farsi strada l’idea di una riduzione del numero di parlamentari. A partire dalla IX legislatura (1983-1987, governi Craxi), si ipotizzano riforme per superare il bicameralismo perfetto e rivedere il numero degli eletti. Se ne discute in una commissione bicamerale presieduta da Aldo Bozzi, dove si parla di assegnare un deputato ogni 110.000 abitanti e un senatore ogni 200.000. Ma non se ne fa nulla.

La seconda Repubblica

Stessa storia durante la XIII legislatura (1996-2001) quando non va in porto il progetto della commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, che indicava un numero di deputati fra 400 e 500, fissando a 200 quello dei senatori. Ci prova poi Silvio Berlusconi, quando è all’apice della sua forza politica, durante la XIV legislatura (2001-2006).

Forte di una maggioranza bulgara in Parlamento riesce ad approvare un complessivo progetto di revisione costituzionale che, tra le molte novità, rafforza i poteri dell’esecutivo sul modello di un sistema presidenziale e trasforma l’Aula di Palazzo Madama in un Senato federale. La riforma prevede la riduzione del numero di deputati da 630 a 518 e di senatori da 315 a 252. Epilogo: viene bocciata dai cittadini con il referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006.

Il tentativo (fallito) di Renzi

Altri due tentativi vengono compiuti nelle due legislature successive, ma non hanno successo a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Finché si arriva all’ultimo tentativo di modifica costituzionale, quello della riforma Renzi-Boschi del 2016 che, ridefinendo le funzioni del Senato, intende portare a 95 il numero dei suoi membri, nominati dai Consigli regionali tra i loro stessi componenti e tra i sindaci dei propri territori.

Invariato invece il numero dei deputati. Anche in questo caso è fatale il referendum confermativo, che il 4 dicembre 2016 vede trionfare il No con il 59,12%. Quattro anni dopo, il destino della riforma è ancora in mano agli elettori, che domani e lunedì decideranno se approvare, o meno, questo ennesimo tentativo di revisione costituzionale.

Foto in copertina: ANSA / GIUSEPPE LAMI

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