Piero Angela: «I negazionisti? C’è sempre stata gente strana in giro. I virologi in tv? Le loro opinioni possono confondere, colpa anche dei giornalisti»

di Giovanni Ruggiero

Il divulgatore più famoso della tv italiana rilancia la «ripartenza» con la terza edizione del Cicap fest, tra il tema delle fake news e i problemi che la pandemia ha fatto emergere nella società. Sempre seguendo un principio imprescindibile: imparare sì, ma divertendosi

Non poteva che essere dedicata alla «ripartenza» l’edizione di quest’anno del Cicap fest, il festival della scienza e della curiosità organizzato dall’associazione fondata ormai 31 anni fa da Piero Angela. Allora come oggi, di «gente con idee strane» non è mai mancata, scherza il più popolare divulgatore scientifico in Italia a proposito dei vari negazionisti come quelli che oggi sono convinti ancora che il Coronavirus sia tutta un’invenzione. Non poteva capitare in un momento storico più azzeccato il Cicap fest, che da venerdì 25 settembre, tutti i giorni fino al 18 ottobre, trasmetterà online conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli e incontri con le scuole. Un programma ricco di appuntamenti e ospiti internazionali, chiamati a discutere del «cambiamento, l’imprevisto e l’improbabile» anche attraverso la scienza. E ogni domenica, un appuntamento fisso con lui, Piero Angela.


A 31 anni dalla fondazione del Cicap, dopo aver combattuto bufale e cartomanti, cosa ha pensato davanti alla piazza di negazionisti di Roma che temono la dittatura sanitaria?


«Il fatto è che c’è sempre stata gente con idee strane e sempre ci sarà. Nella mia esperienza, ho visto che se anche dimostri che i fatti sono il contrario di ciò che le persone credono, queste continueranno a credere a ciò che vogliono. D’altro canto, ci sono altre persone che semplicemente sono male informate e che possono essere ricondotte alla ragione. Nella mia carriera mi è capitato di incontrarne.

Alcuni feroci critici che attaccavano la mia indagine sulla parapsicologia, per esempio, quando ho dimostrato loro, portando prove e fatti verificabili, che quello che dicevo era corretto, alla fine mi hanno dato ragione. Ma sono casi eccezionali. Ecco perché è meglio impegnarsi per parlare con chi è poco informato e vuole capire, anziché tentare di far cambiare idea a chi vuole solo credere, come cerchiamo di fare anche noi con il Cicap e in questi giorni, in particolare, con il Cicap Fest». 

Se avesse davanti uno di quei negazionisti, cosa gli direbbe

«Sediamoci e le spiego come stanno i fatti, poi, naturalmente, potrà continuare a pensarla come vuole».

Cosa ne pensa dei tanti virologi ed esperti scientifici in tv che commentano l’andamento della pandemia?  

«Nella scienza si può affermare qualcosa solamente dopo che è stata verificata. Il fatto è che quando nasce un problema nuovo, in cui queste verifiche non sono ancora state effettuate, ci possono essere giustamente ipotesi diverse per cercare di spiegare il fenomeno. E quindi, finché non ci saranno le verifiche, restano solo ipotesi. Seconda cosa, spesso virologi, medici ed esperti sono un po’ tirati per la giacchetta dai miei colleghi giornalisti, che insistono per avere un parere. Loro danno la loro opinione, ma anche se formulata da uno scienziato resta sempre un’opinione.

La scienza è conoscenza e si ottiene attraverso un metodo collaudato: in fase di verifica si può affermare una cosa oppure l’altra, ma le opinioni restano sempre e solo opinioni. Saranno i fatti, le verifiche e gli esperimenti a dimostrare chi ha ragione. È difficile avere certezze su un tema di cui non si conoscono ancora bene i confini e, purtroppo, chi guarda la Tv spesso non sa come funziona la discussione scientifica e, ascoltando pareri contrastanti, è naturale che finisca per confondersi». 

Pensa che l’Italia sia più attrezzata ora per affrontare un’eventuale nuova ondata di contagi? 

«L’attrezzatura in realtà è molto semplice: mascherine e distanziamento! Sono i comportamenti delle persone quelli che contano. Se la gente rispetta queste semplici regole non c’è contagio, o ce n’è poco, non fa in tempo a diventare un problema di massa. Ma tutto dipende dai comportamenti. Per quanto riguarda la capacità di far fronte a una pandemia, non è così semplice saperlo in anticipo. Le faccio un esempio: in Lombardia, nei momenti più drammatici, hanno chiamato Bertolaso per costruire 200/300 posti letto per i malati gravi, e poi quella struttura è rimasta lì, inutilizzata, perché i casi sono diminuiti.

Il fatto è che non si può sapere che cosa succederà e, dunque, a posteriori le scelte possono sempre sembrare giuste o sbagliate. È un po’ come l’asino di Buridano: se fai qualcosa ed è superflua ti criticano, se non la fai ti criticano ancora di più. Una cosa però è certa, e cioè che il sistema sanitario italiano ha dimostrato di essere molto efficiente e direi anche eroico: molti medici, infermieri e personale sanitario si sono ammalati o sono morti per compiere il proprio lavoro. Non dobbiamo dimenticarcelo mai».

Lei ripete spesso che vorrebbe una scuola “più divertente”, da dove si comincia?

«Il discorso sarebbe molto lungo, ma le faccio un esempio: io a scuola mi sono annoiato molto, poi ho studiato le stesse cose per conto mio con grande piacere. Allora, forse, il problema è quello di provare a coinvolgere e interessare i ragazzi. Solo che non è facile, possiamo dirlo a parole, ma nella pratica è difficile. Un modo, forse, potrebbe essere quello di creare dei gruppi di ragazzi impegnati a lavorare su progetti di ricerca, non dico solo di scienza, ma anche di storia, filosofia, arte…

Magari devono scoprire qualcosa, andare a cercare, anche sul web, imparando a riconoscere fonti attendibili da quelle che non lo sono, per poi redigere una sorta di rapporto finale, da cui trarre conclusioni più generali insieme agli insegnanti. Come si sa, uno degli slogan più noti è quello che dice che se sento dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo. Poi, certo, ci vuole anche il resto: questa potrebbe essere una bella palestra per allenare la mente e la memoria, ma anche le nozioni sono importanti».

Perché affascinano le pseudoscienze?

«Perché le soluzioni “magiche” ci attraggono sempre. A tutti noi piacerebbe che le cose fossero più belle, interessanti, promettenti o rassicuranti di quello che sono nella realtà, soprattutto se ci riguardano in modo diretto. La scienza non può rispondere a tante domande, ma non può farlo nemmeno la politica o l’economia.

Se uno vuole sapere se diventerà ricco, se troverà l’anima gemella, se avrà una promozione o, ancora più importante, se guarirà da una data malattia, non sempre la risposta è possibile. Chi offre soluzioni magiche, invece, ti illude di poterti dare questo tipo di risposte. E poi, credere di scoprire mondi alternativi o realtà nascoste apre un universo che sembra fantastico, di cose inaspettate e meravigliose. Oppure, incute paura, se parliamo di fantasmi, maledizioni… ma anche di complotti, e quindi si sente il bisogno di difese e rassicurazioni.

Sono bisogni antichissimi, non sono una novità: chi cercava di interpretare il futuro guardando il volo degli uccelli, chi sacrificava gli animali o gli uomini agli dei per carpirne la benevolenza o per chiedere buoni raccolti, faceva la stessa cosa: si comportava in modo irrazionale e inseguiva superstizioni sperando di volgere “magicamente” gli eventi a proprio favore. Il bisogno di avere risposte e certezze a domande spesso senza risposta, è un bisogno che forse, nel tempo, in superficie sembra diverso, ma in realtà ci accompagna da sempre e sempre ci accompagnerà»

Ha mai sperato di diventare senatore a vita?

«No. Quando una volta c’è stato l’inizio di una campagna da parte di un giornale per raccogliere firme a mio favore, io l’ho subito bloccata. Alla Rai ho rifiutato, negli anni, la direzione di un telegiornale e di una rete… Non sono fatto per certi ruoli. Ne sono sempre stato molto lusingato, naturalmente, ma come dicono a Milano: ofelè fa el to mesté. A ciascuno il suo mestiere».

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