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Il Podcast di Radio3 sui migranti senza nome morti nel Mediterraneo vince il Prix Italia

26 Settembre 2020 - 12:29 Redazione
Nella strage del 2015 morirono 217 persone. Il laboratorio forense dell’università di Milano sta lavorando per dare ad ognuna un nome

Non un podcast di politica o cronaca nera, ma quello dedicato al Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (Labanof) dell’Università di Milano ed al suo tentativo, ancora in corso, di dare un nome alle vittime di una delle più gravi stragi del Mediterraneo avvenute negli ultimi anni. Rai Radio3 ha vinto il 72° Prix Italia, il più importante premio internazionale per le produzioni radiotelevisive, nella categoria Radio Documentary and Reportage con Labanof. Corpi senza nome dal fondo del Mediterraneo, il primo podcast originale prodotto interamente da Rai Radio3. Labanof ha anche ottenuto la menzione speciale della Giuria del Premio Speciale in Onore del Presidente della Repubblica. «Siamo particolarmente felici e anche orgogliosi di questo riconoscimento. Anzitutto perché Labanof tocca una delle pagine più sconvolgenti, eppure tra le più manipolate o rimosse del nostro tempo, ossia la morte “anonima” di migliaia di migranti nel mar Mediterraneo. E poi perché è un podcast originale interamente prodotto da Radio3 e destinato a circolare sulle piattaforme più diverse», ha commentato Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3.

Il podcast premiato è la quinta puntata di una serie interamente dedicata al lavoro di Cristina Cattaneo e del suo team e prende il nome, appunto, dal Laboratorio forense che la professoressa guida a Milano. Nel corso degli anni, Cattaneo ha risolto alcuni dei casi più controversi finite sulle prime pagine di tutti i giornali (ad esempio, si è occupata dei resti di Yara Gambirasio). Dal 2016, però, insieme al suo team ha accettato la missione di tentare di dare un nome alle vittime di una delle più gravi tragedie del mar Mediterraneo, il naufragio di un barcone al largo delle coste libiche avvenuto il 18 aprile 2015. Senza distinzione di provenienza, dunque, il gruppo sta lavorando all’obiettivo di restituire un nome e quindi una dignità a quei corpi, e una risposta a chi rimane.

«Che cosa vuol dire cercare di dare un’identità a quelle che sono le vittime di un naufragio? La risposta è: dobbiamo farlo perché sono i diritti di tutti. Diritto alla salute e diritto all’identità dei miei morti perché mi serve per continuare la mia vita, è una questione di salute mentale di chi sta cercando il [suo] morto e una questione di banale vita amministrativa. Quindi è una questione di diritti umani. Di cose che dovrebbero essere obbligatorie», spiega la ricercatrice nel Podcast. Erano 217 i corpi estratti dai vigili del fuoco dal barcone carico di migranti naufragato il 18 aprile del 2015 nel Canale di Sicilia e recuperato per volere del governo italiano. Le prime operazioni avvennero nella tensostruttura refrigerata realizzata nel comprensorio Marina Militare di Melilli (Siracusa). Già nei primi giorni, lavorando giorno e notte, il Labanof riuscì a realizzare 52 autopsie.

Foto di copertina Ansa | Il relitto del naufragio del 2015 portato a Melilla

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