Coronavirus, i numeri in chiaro. Taliani: «Ora il vero dato preoccupante è quello dei ricoveri ordinari»

di Giada Giorgi

«Quando in Lombardia si registra un ricoverato, a parità di denominatore, nel Lazio se ne registrano tre». La professoressa dell’Università La Sapienza di Roma invita a ragionare sulle percentuali di ricoveri ordinari delle cinque Regioni più a rischio: il Lazio la peggiore nel sistema di tracciamento

Era il 22 settembre quando l’infettivologa Gloria Taliani aveva fornito ad Open un dato chiaro su quanto la velocità di crescita di positivi da Coronavirus stesse aumentando: in quella data ci erano voluti circa 45 giorni per raggiungere un incremento di 50mila casi. Non è passato molto da quel calcolo, e oggi 3 ottobre, la professoressa torna a dare un numero ancora più significativo. Secondo gli ultimi dati, i giorni impiegati per arrivare 50mila nuovi positivi risultano essersi accorciati a 30. «Anche rispetto a questo singolo dato siamo in crescita, non c’è alcun dubbio. Il tempo si è ridotto con un aumento evidentissimo di velocità di crescita di positivi. E quello che più deve preoccupare è che la variabilità giornaliera, tutto sommato comprensibile nelle sue differenze, sia in costante incremento»


Anche i contagi giornalieri sembrano confermare quanto ci dice. I bollettini non registravano un numero di contagi pari a quelli delle ultime 24 ore (+2.844) da cinque mesi.


«Con un’ulteriore particolarità. Andando a guardare gli attualmente positivi di questa giornata, in tutta Italia quasi 54mila, per ritrovarci su valori di questo genere dobbiamo tornare indietro alla fine di maggio. Ma non è tutto. Mentre con gli stessi numeri a maggio avevamo una curva in diminuzione, ora siamo con gli stessi valori ma con una curva in netta crescita».

Perché?

«Lo sbalzo a ribasso della temperatura è una condizione decisamente favorente. Le mucose respiratorie sono facilmente suscettibili. Certo non siamo ancora ai freddi invernali ma il calo di temperatura nel giro di pochi giorni è stato più che significativo. Questo oltre che a modificare i comportamenti, spingendoci a stare più al chiuso, ha modificato l’aspetto fisiologico delle persone rendendole più suscettibili. Questo accade con le infezioni in generale e il Coronavirus non fa eccezioni, si comporta come tutte gli altri virus delle vie respiratorie. Dunque le condizioni climatiche hanno senza dubbio influito su questi ultimi numeri».

Nessun “effetto scuola”?

«Il trend in crescita ha continuato ad andare verso la sua linea naturale, ma resta difficile estrapolare l’impatto che la riapertura delle scuole ha avuto sui numeri. Per capirne realmente gli effetti i dati andrebbero valutati sulla base della densità delle scuole nelle singole aree. Il fenomeno riapertura scuole pesa infatti molto di più nelle scuole urbane che in quelle rurali. Già questo scorporo del dato potrebbe essere utile a capire quanto gli istituti abbiano influito.

E poi fondamentale sarebbe rapportare i dati sul numero delle scuole presenti nel territorio e sulla percentuale della popolazione al di sotto dei 19 anni. Un’analisi della composizione numerica della popolazione in termini di fasce d’età aiuterebbe a standardizzare il numero dei nuovi casi e a capirne meglio la provenienza. Tutto questo dai dati attualmente non si evince. Ma c’è un dato che oggi colpisce non poco».

Qual è?

«È quello sul rapporto tra i nuovi casi registrati nelle diverse regioni e il numero dei ricoveri ordinari. Se è vero infatti che le cinque regioni al top della classifica di contagi, e cioè Campania, Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio, registrano una percentuale di pazienti in terapia intensiva piuttosto uniforme, tra lo 0,3% e lo 0,6% del totale degli infetti, la stessa cosa non si può dire sui ricoveri ordinari».

Ci spieghi meglio.

«La percentuale di pazienti ricoverati in ospedale come malati non gravi, registrata nelle cinque regioni maggiormente a rischio, presenta delle differenze straordinarie. In Lombardia gli ospedalizzati sono il 3% del totale dei positivi, in Veneto il 4%, in Campania e Piemonte 6%, nel Lazio infine il 9%. Questo vuol dire che quando in Lombardia si registra un ricoverato, a parità di denominatore, nel Lazio se ne registrano tre. Due per Campania e Piemonte, uno e mezzo per il Veneto.

Questo non può non avere a che fare con l’organizzazione sanitaria delle singole Regioni e induce a una duplice lettura. O si tratta di una tendenza organizzativa del territorio in questione nel tenere i pazienti in ospedale anche se non sono molto gravi, oppure riguarda l’arrivo dei pazienti nelle strutture in una condizione già più grave che nelle altre regioni».

Cosa ci dicono questi numeri?

«Sono dati che raccontano molto sul sistema di tracciamento delle regioni e sulla mancata tempestività della diagnostica. Il Lazio è il territorio con un problema più evidente. Un aspetto e di conseguenza un dato disponibile su cui ritengo necessario cominciare a ragionare di più».

Si può parlare di seconda ondata o è d’accordo con la visione del prof. Walter Ricciardi convinto che, in realtà, quella attuale sia ancora una prima ondata mai davvero finita?

«Cosa si aspettava il prof. Ricciardi, che il virus sparisse definitivamente? Che ci fosse azzeramento completo? Non era evidentemente fattibile, anche in una fase inter epidemica e cioè tra una crescita e l’altra della curva. Possiamo dunque senza dubbio parlare di un tentativo di avviamento di seconda ondata, di cui non sappiamo i risvolti e i margini di ampliamento, ma di fatto questo è. Se guardiamo la cosa su scala mondiale è chiaro che la pandemia è rimasta persistente. Ma per l’Italia credo sia giusto parlare di prima ondata conclusa e di una seconda che si sta avviando».

I numeri sono ancora controllabili?

«Soltanto se smettiamo di adagiarci nel confronto con i nostri Paesi vicini, in una condizione senza dubbio peggiore, e torniamo ad essere concentrati su comportamenti virtuosi e necessari. In questo le restrizioni di cui si parla in questi giorni credo che debbano necessariamente tornare ad avere un carattere nazionale e meno territoriale. Uniformare i comportamenti e i percorsi diagnostici è adesso la chiave per rendere davvero sensate le nostre decisioni. E poi Immuni. Lo strumento informatico è una delle vie principali da perseguire, Corea e Giappone ce lo hanno dimostrato».

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