Il protocollo in Svizzera frena il ricovero in rianimazione per gli anziani positivi: «Precedenza a chi ha possibilità di recupero» – Il documento

di Fabio Giuffrida

Come nella medicina di guerra, in mancanza di posti letto negli ospedali, la Svizzera ha deciso di negare l’accesso alla rianimazione a pazienti con più di 85 anni o over 75 con patologie gravi. Ecco cosa c’è scritto nel documento

Se la situazione in Svizzera dovesse peggiorare, in mancanza di posti letto, verrà negato l’accesso alla rianimazione agli anziani malati di Coronavirus, ovvero a coloro che hanno meno probabilità di sopravvivere al virus. Decisioni di «razionamento» – si legge – che daranno precedenza ai pazienti che, «se trattati in terapia intensiva, hanno buone probabilità di recupero».


Il documento


I dati (preoccupanti) della Svizzera

I dati della (vicina) Svizzera sono preoccupanti e, adesso, allarmano anche l’Italia: nella giornata di ieri sono stati registrati 6.592 contagi (nelle ultime due settimane 42.290 nuovi casi). Il rapporto è di 494,9 casi ogni 100mila abitanti: questo significa che, in proporzione al numero di abitanti, la Svizzera sta registrando un numero significativamente più alto di casi rispetto a quasi tutti i paesi limitrofi. La conseguenza? Ospedali verso il collasso e tracciamento fuori controllo.

Chi non avrà accesso alle cure

Il titolo del documento, elaborato dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva, in vigore dal 20 marzo ma mai adottato e riportato oggi dal quotidiano La Stampa, è: «Triage dei trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse». In caso di« indisponibilità di letti in terapia intensiva non andrebbe fatta la rianimazione cardiopolmonare» ad alcune tipologie di pazienti. Tra questi ci sono persone con età superiore agli 85 anni, i pazienti con più di 75 anni e con patologie come «cirrosi epatica, insufficienza renale cronica stadio III, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e sopravvivenza stimata a meno di 24 mesi».

Per tutti gli altri casi, invece, i criteri per non essere ammessi alla rianimazione sono più stringenti. In caso di necessità, infatti, non si ricorrerà alla rianimazione per i pazienti con «arresto cardiocircolatorio ricorrente, malattia oncologica con aspettativa di vita inferiore a 12 mesi, demenza grave, insufficienza cardiaca di classe NYHA IV, malattia degenerativa allo stadio finale». In altre parole, i medici saranno chiamati a decidere chi curare e chi no. Tutto dipenderà dai posti letto disponibili. L’obiettivo, si legge sul documento, resta quello di «salvare il maggior numero possibile di vite».

Le terapie intensive

Gli ultimi dati ci parlano di 22.239 letti disponibili di cui 16.719 già occupati, 710 da pazienti affetti dal virus. Di riserva ci sono altri 5.520 posti. Nell’intensiva, invece, la situazione si fa più preoccupante: il 19% dei pazienti, ovvero 144, è malato Covid. Su 1.175 letti disponibili in terapia intensiva, ben 732 risultano occupati. «Tra due settimane non ci sarà più posto negli ospedali di terapia intensiva» ha dichiarato Andreas Stettbacher, delegato del Consiglio federale per il Servizio medico coordinato. «Stimiamo che il limite di capacità dei reparti di terapia intensiva sarà raggiunto fra il 5 e il 18 novembre» ha aggiunto Martin Ackermann, presidente della Covid-19 Science Task Force. Insomma, non c’è più tempo da perdere. È corsa contro il tempo.

Foto in copertina di repertorio: ANSA/CIRO FUSCO

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