A Varese 1.902 casi in 24 ore. Parla il direttore dell’Hub Covid: «Vi spiego perché la situazione è più grave che nella prima fase»

di Felice Florio

Francesco Dentali è in prima linea contro la seconda ondata di contagi che preme sull’ospedale più importante del Varesotto. «Ci inventiamo nuovi posti letto per accogliere i positivi, ma lo spazio sta per esaurirsi»

Il bollettino della Regione Lombardia di oggi, 28 ottobre, segnala ancora una volta che è la provincia di Milano a essere la più colpita dal Coronavirus. Nel capoluogo, città che conta oltre 1,3 milioni di abitanti, l’incremento di casi positivi è stato pari a 1.092. Ma l’intera provincia di Varese, che di abitanti ne conta “soli” 900 mila, di nuovi contagi, nelle ultime 24 ore, ne ha registrati 1.902. Così la “piccola” Varese diventa la terza provincia più colpita dopo quelle di Milano e Napoli.


«La situazione è più grave che nella prima fase». A dirlo è Francesco Dentali, direttore del Dipartimento delle medicine dell’intera Asst dei Sette Laghi, l’azienda sanitaria competente sul Varesotto. Nella prima, come in questa nuova fase della pandemia, è lui a dirigere, organizzare e gestire l’Hub Covid dell’ospedale di Circolo, a Varese. E a Open dice: «Non c’è mai stato un giorno peggiore di questo. Oggi abbiamo ricoverato già quaranta persone positive e le ambulanze continuano ad arrivare».


Direttore, perché la provincia di Varese è così colpita dalla seconda ondata?

«I numeri del contagio sono alti e continuano ad aumentare progressivamente, è vero. Le spiegazioni sono molteplici: durante la prima ondata, il nostro territorio è stato meno colpito rispetto ad altri e quindi il numero di persone potenzialmente immuni è più basso. Poi può essere rilevante la vicinanza alla Svizzera: sono diversi i lavoratori frontalieri che si sono infettati. Ancora, molti residenti nella provincia di Varese lavorano a Milano, che è la città al momento più colpita in Italia. A questi tre fattori, si aggiungono gli elementi comuni a tutta l’Europa: i viaggi estivi, la riapertura delle scuole e delle attività lavorative».

Ci sono dei cluster rilevanti all’interno della stessa provincia di Varese che stanno alimentando il focolaio generale?

«Se nella prima fase dell’epidemia avevamo individuato diversi focolai nelle case di riposo o in determinati ambienti di lavoro, adesso non c’è un cluster così rilevante che sta contribuendo più degli altri. È una situazione diffusa e, per questo, molto più difficile da controllare».

L’ospedale di Circolo, il più importante del Varesotto, è sotto pressione?

«La pressione in questi giorni è enorme. Nella prima fase la struttura organizzativa ha tenuto bene. Com’eravamo stati pronti allora, lo eravamo adesso. Però i numeri di questi giorni stanno andando al di là di ogni possibile piano organizzativo. La pressione è fortissima: solo oggi abbiamo ricoverato una quarantina di persone positive e, per fortuna o per eroismo del personale, siamo riusciti a trovare un posto letto a tutti. Va considerato che ricoverate un malato Covid non è come ricoverare un malato qualunque: lo sforzo del personale è doppio per evitare la trasmissione del virus. Ricoverare 40 positivi nello stesso giorno è molto complicato. Non c’è mai stato un giorno peggiore di questo e le ambulanze continuano ad arrivare».

Siete arrivati alla saturazione dei posti letti per pazienti Covid?

«Siamo prossimi alla saturazione, ma soprattutto siamo prossimi al fatto che, nei prossimi giorni, dovremmo procedere con le interruzioni delle altre attività ospedaliere per avere lo spazio necessario ad altri letti per i pazienti Covid. Fino ai 100 ricoveri di persone positive siamo andati avanti senza interrompere le altre attività, superata questa soglia non è stato più possibile. Non raggiungeremo la saturazione domani, ma tra qualche giorno sì. Basta riflettere sui dati: se un malato Covid ha una decenza media di 15 giorni e i contagi continuano ad aumentare, è chiaro che i posti letto finiranno presto».

Cosa farete allora?

«La prima cosa è rivedere la scelta di tenere tutti i malati Covid nell’ospedale di Circolo lasciando gli altri ospedali periferici Covid free. Non c’è un segnale di appiattimento della curva dei contagi e ciò mi porta a dire che domani, da 40, i ricoveri nel mio ospedale saranno 50, e dopodomani 60. Detto ciò, che si sappia che fino ad oggi abbiamo trovato posto a tutti quelli che necessitavano di un ricovero».

È preoccupato?

«Eccome se lo sono. L’emergenza è grave. Faccio un esempio di cosa siamo tornati a fare, come nella fase che consideravamo la più acuta dell’epidemia: gli infermieri stanno facendo turni di 12 ore e tutte le ferie sono state sospese. È anche una questione di tenuta fisica per il personale, che presto arriverà allo stremo. Noi faremo tutto il possibile per curare le persone, ma speriamo di farcela perché io la certezza, oggi, non ce l’ho».

Ritiene sufficienti le misure contenute nel Dpcm del 24 ottobre?

«Quando vengono presi dei provvedimenti in queste situazioni noi medici siamo abituati a valutarne gli effetti nei giorni successivi, non a ridosso. Ad almeno sette giorni inizieremo a vedere gli esiti delle restrizioni sulla diffusione del virus, a 14 giorni li vedremo bene. Ma se tra una settimana non ci sarà alcun segno di deflessione del contagio, i provvedimenti saranno da rivedere. Io faccio il medico, e non il politico: quando limiti la libertà dei cittadini devi tenere conto anche di altre variabili, non solo quelle sanitarie. Detto ciò, se chi ha preso quelle decisioni crede che possano funzionare, noi siamo qui per vedere gli effetti. Ma se non li vedremo, se il Dpcm non porterà un beneficio consistente, bisogna certamente avere il coraggio di prendere decisioni più dure».

Un elemento per inasprire le misure potrebbe essere proprio la valutazione della tenuta degli ospedali.

«Ci sono 150mila posti letto nella sanità pubblica in Italia. Di questi, non tutti sono adeguati per ricoverare pazienti Covid. Inoltre non possiamo pensare che non esistano altre patologie per cui i posti letto devono comunque continuare a essere garantiti: chi ha un infarto ha diritto di essere ricoverato. Chi prende le decisioni politiche deve fare i conti con queste cose. Il singolo malato, adesso, siamo ancora in grado di gestirlo. Tra qualche giorno potrebbe non essere così».

Ci sono delle possibilità che si fletta la curva dei contagi prima che la situazione fugga completamente di mano?

«Se le persone fanno un atto di responsabilità al di là dei decreti e del resto, ne potremo uscire. Tutti noi dobbiamo renderci conto, però, della realtà: i posti letto stanno finendo, le ambulanze arrivano in ospedale ad ogni ora del giorno e della notte. Posso dirlo con certezza: a Varese la situazione è più grave che nella prima fase dell’epidemia del Coronavirus».

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