La crisi Covid ha travolto le donne: in fumo il 56% del lavoro femminile, spariti oltre 800 mila posti di lavoro in totale

Secondo un focus della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, in un anno «il tasso di attività femminile è diminuito di 3 punti percentuali, annullando in pochi mesi i progressi dell’ultimo decennio in termini di innalzamento dei livelli di partecipazione femminile al lavoro»

Più di 800 mila persone occupate in meno: è questa – 841 mila– la differenza tra il secondo trimestre dello scorso anno e lo stesso periodo del 2020, in era Covid. Un bilancio parziale, nota uno studio pubblicato oggi sul sito della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, degli effetti della pandemia: e a pagare lo scotto sono (come anticipato e ribadito in più contesti) le donne (e le pari opportunità): sono 470 mila in meno, per un calo occupazionale del 4,7% in un anno. Agli uomini va male, certo, ma non non così male: il calo è del 2,7%, pari a -371 mila occupati. Su 100 posti di lavoro persi , quelli femminili rappresentano il 55,9%.


A scattare l’amara fotografia è il focus Ripartire dalla risorsa donna della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Che donne e giovani fossero le categorie più colpite dagli effetti dell’emergenza sanitaria e dalla serrata primaverile era già emerso dai dati Istat di giugno. La fotografia impietosa dell’ultimo rapporto Caritas spiega chiaramente che a subire le più pesanti conseguenze economiche della pandemia sono le donne, il 54,4% tra chi chiede aiuto rispetto al 50,5% dell’anno precedente.


Fondazione Studi Consulenti del Lavoro | Focus “Ripartire dalla risorsa donna”

I dati

Colpiti soprattutto i contratti a termine, con una diminuzione del 22,7% pari a 327 mila lavoratrici in meno. Per chi lavora come libera professionista, il calo è del 5,1%. Ora, secondo quanto emerge dal focus, durante il (primo) lockdown le donne sono state più impegnate nell’attività lavorativa rispetto ai loro colleghi uomini: 74% a fronte del 66% degli uomini. Questo perché sono di fatto e storicamente impegnate in quei servizi essenziali rimasti aperti come la sanità, la scuola, la stessa pubblica amministrazione.

Come già emerso, arriva ancora una volta la conferma che la chiusura delle scuole in tutta Italia per mesi ha visto sempre le donne in prima fila nell’assistenza a figli e figlie, in generale e nel loro coinvolgimento in una didattica a distanza piena di buchi e mancanze. «Un livello di stress elevatissimo per quasi 3 milioni di lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni (30% delle occupate)», si legge nel report. La conseguenza di tutto questo è che sempre più donne abbandonino completamente il lavoro in ragione di questi impegni: «già tra giugno 2019 e lo stesso mese del 2020 c’è stato un incremento di 707 mila inattive (+8,5%), soprattutto nelle fasce giovanili».

Il blocco dei licenziamenti

C’è un’ulteriore considerazione che emerge, che è lì, nelle cose, ma che non viene sufficientemente evidenziata: i dati in questione, spiegano ancora dal Centro studi, sono al momento “viziati” dal blocco dei licenziamenti. Andranno quindi rivisti – e consolidati – al termine di questo provvedimento sull’intera categoria di lavoratori e lavoratrici. Nella consapevolezza però del «campanello d’allarme» già suonato sui diversi effetti che tutto questo sta avendo e avrà sull’occupazione femminile, più impiegate degli uomini nei settori colpiti dalla crisi, mentre l’industria – a prevalente occupazione maschile – regge meglio all’impatto della pandemia.

Il «sovraccarico di lavoro, famigliare e professionale senza precedenti» che le donne hanno vissuto nel primo lockdown e che molte stanno nuovamente vivendo in alcune regioni in ragione delle restrizioni decise a livello locale soprattutto sulle scuole, hanno portato a tali condizioni di pressione per cui molte hanno già interrotto le proprie attività o rischiano seriamente di farlo. Nell’ultimo anno «il tasso di attività femminile è diminuito di 3 punti percentuali, passando da 56,8 a 53 così annullando, in pochi mesi, i progressi fatti nell’ultimo decennio in termini di innalzamento dei livelli di partecipazione femminile al lavoro».

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