Coronavirus, con il blocco dei licenziamenti il posto di lavoro non è (sempre) garantito

Cosa dice la normativa emergenziale e come cambia alla luce del Decreto Agosto? Tutto quello che bisogna sapere sui divieti di licenziamento “ordinari” previsti dalla legge

Per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il governo ha varato una serie di misure volte a tutelare i lavoratori dipendenti. Tra queste ha avuto particolare evidenza il divieto di licenziamento, che, in vigore dal 17 marzo al 17 agosto, è stato ulteriormente esteso dal decreto Agosto. I dipendenti dunque avranno il proprio posto di lavoro garantito, almeno fino alla rimozione del divieto? Non proprio: bisogna prestare attenzione all’ambito di applicazione del divieto e al nuovo meccanismo con cui opererà.


Il divieto di licenziamento introdotto dal DL Cura Italia

La norma originaria, infatti, valida fino al 17 agosto, preclude alle aziende la facoltà di licenziare i lavoratori per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero di dipendenti in forza, e di avviare procedure di licenziamento collettivo: vale a dire che le aziende non possono terminare i rapporti di lavoro con i propri dipendenti per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ovvero per ragioni economiche.


Sono preclusi, dunque, tutti quei licenziamenti che trovano il loro fondamento in ragioni di natura oggettiva ed economica, del tutto estranee alla condotta tenuta dal dipendente. Non di rado, infatti, sulla base di specifiche ragioni di opportunità economica, le aziende decidono di sopprimere posizioni di lavoro non ritenute più utili al buon funzionamento dell’impresa e di recedere dai relativi rapporti di lavoro.

Allo stesso modo i datori di lavoro non potranno avviare procedure di licenziamento collettivo, vale a dire quelle procedure di riduzione del personale che coinvolgono almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni (Legge n. 223/1991).

La proroga del divieto di licenziamento nel DL Agosto

Questo è quanto prevede la norma fino al 17 agosto. Il c.d. Decreto Agosto prolungherà tale termine, stabilendo che non sarà possibile licenziare fino a quando le imprese non abbiano integralmente usufruito dei trattamenti di cassa integrazione per causa Covid-19 (comprese le ulteriori 18 settimane varate dal nuovo Decreto stesso), o del nuovo esonero contributivo (4 mesi) per quei datori di lavoro che hanno utilizzato l’integrazione salariale nei mesi di maggio e giugno, ma che non effettueranno la richiesta di proroga per i prossimi.

Sarà invece possibile effettuare licenziamenti in caso di cessazione dell’attività dell’impresa e, dunque, anche nei casi di fallimento laddove non sia disposto l’esercizio provvisorio (se, però, l’esercizio provvisorio è disposto solamente per un ramo d’azienda, il divieto non vale per i dipendenti appartenenti ad altri rami). Inoltre, sarà possibile licenziare in presenza di un accordo sindacale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro (c.d. incentivo all’esodo), stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, e limitatamente ai dipendenti che aderiscono al suddetto accordo.

In questa fase emergenziale resta, invece, consentito alle aziende licenziare per ragioni inerenti a specifiche condotte del dipendente. Si tratta dei c.d. licenziamenti disciplinari, tra cui rientrano il licenziamento per giusta causa, intimato per un comportamento da parte del dipendente talmente grave da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto di lavoro (art. 2119 c.c.) e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che si verifica a seguito di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del dipendente, non tale da giustificare il recesso per giusta causa.

Allo stesso modo, è consentito alle aziende in questa fase procedere ai licenziamenti per il mancato superamento del periodo di prova oppure per il superamento del periodo di comporto (nell’ambito del quale – ha precisato il ministero del Lavoro – non va inclusa l’assenza da lavoro causa Covid-19).

Il campo di operatività del divieto di licenziamento è soggetto ad alcune limitazioni anche sotto il profilo soggettivo, in quanto tale divieto non trova applicazione nei confronti dei collaboratori domestici (colf e badanti) per via della libera recedibilità delle parti dal rapporto di lavoro, e nei confronti dei co.co.co. (lavoratori parasubordinati), in quanto il divieto di licenziamento in esame riguarda esclusivamente rapporti di lavoro di natura subordinata.

Dubbi interpretativi rimangono, invece, con riferimento all’applicabilità del divieto di licenziamento alla categoria dei dirigenti. La mancata applicazione a tale categoria della legge 604/1966 sembrerebbe far escludere che lo stop ai licenziamenti comprenda quelli intimati ai dirigenti, ma potrebbe invece essere applicata ai cosiddetti “pseudo-dirigenti” (coloro che, pur essendo inquadrati nella categoria dei dirigenti, di fatto svolgono mansioni caratterizzate da un grado di autonomia e indipendenza non corrispondenti al ruolo, ma riconducibili alla mansione di quadro o impiegato direttivo) in quanto agli stessi, dice la giurisprudenza, trova applicazione la legge 604/1966. Tuttavia, non essendosi ancora formata giurisprudenza sul punto, non è possibile sciogliere in maniera definitiva tale dubbio.

Il divieto generale di licenziamento in Italia

È bene ricordare, da ultimo, come il divieto di licenziamento in capo alle aziende in questa fase emergenziale si aggiunga ai divieti di licenziamento “ordinari” previsti dalla legge, cui consegue in caso di violazione la nullità radicale dell’atto di recesso.

Alle aziende, infatti, è in ogni caso preclusa la possibilità di intimare: licenziamenti discriminatori, ossia comminati per finalità di discriminazione politica, religiosa, sindacale ecc.; licenziamenti ritorsivi, vale a dire il recesso datoriale intimato come risposta ad un comportamento legittimo del dipendente nei confronti della società (esempio di scuola è il licenziamento del dipendente che ha fatto causa all’azienda per tutelare un proprio interesse); licenziamenti per causa di matrimonio, intimati nel periodo compreso tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione del matrimonio; licenziamenti delle lavoratrici madri ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo 151/2001, intimati durante il periodo della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino; licenziamenti riconducibili ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinati da un motivo illecito determinante, dunque contrari a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume.

Per tutti questi casi e indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, il legislatore prevede a carico dei datori di lavoro, in caso di accertata illegittimità, la reintegra del dipendente e il pagamento di un’indennità risarcitoria o in alternativa, su richiesta del lavoratore e ferma restando la corresponsione di un’indennità risarcitoria, il pagamento di una indennità sostitutiva della reintegra.

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