Camici bianchi divisi sui tamponi in studio, il medico di base: «Non li faccio neanche per mille euro, rischio la vita». Ma c’è chi dice sì – Le interviste

di Fabio Giuffrida

Hanno paura di contaminare i loro studi professionali, non si sentono al sicuro e temono le reazioni dei condomini oltre all’assalto dei pazienti in cerca di un tampone. Ecco cosa sta succedendo tra i medici di famiglia e i pediatri

C’è caos, preoccupazione e spaccatura tra i medici di base e i pediatri italiani. Nei prossimi due mesi, infatti, dovranno effettuare tamponi rapidi antigenici per il Coronavirus nei loro studi professionali, stando all’ultimo accordo firmato con il ministero della Salute. A loro rischio e pericolo. «Abbiamo detto di sì per un senso di responsabilità ma non vogliamo diventare il capro espiatorio di nessuno», spiega Rinaldo Missaglia, segretario nazionale del sindacato medici pediatri di famiglia (Simpef), che però non nasconde preoccupazione. Gli fa eco Paolo Biasci, presidente della Federazione italiana dei medici pediatri (Fimp): «Abbiamo accolto le richieste del nostro Paese». Ma le perplessità sono tantissime.


«Cosa facciamo con un tampone al giorno?»

Le preoccupazioni di Missaglia sono prima di tutto sui “numeri”: «Avremo a disposizione circa un tampone al giorno. Devo scegliere a chi farlo e a chi no?». Ai suoi colleghi – racconta Rinaldo Missaglia – spaventa soprattutto il rischio di contaminare gli studi professionali: «Se ho un paziente positivo, che faccio? Chiudo subito lo studio, lo sanifico e rimando tutti gli appuntamenti delle ore successive? I nostri studi potrebbero trasformarsi in un luogo di ulteriore diffusione del virus». «Ma cosa cambia tra oggi e domani? Come sanificano oggi, devono sanificare domani. Le precauzioni sono le stesse e, comunque, non dobbiamo fare i tamponi ai soggetti sintomatici», replica a Open Biasci, totalmente favorevole all’accordo.


«Non potevamo tirarci indietro»

I tamponi rapidi, dunque, andranno effettuati ai bambini e ai ragazzi che hanno avuto contatti con positivi ma che, nel momento in cui si apprestano a fare il test, non presentano sintomi. Ad esempio quelli che sono andati in quarantena dopo aver scoperto la positività di un compagno di classe. Nessun test per i soggetti sospetti Covid con sintomi. «Diamo un grande aiuto al dipartimento di prevenzione con 50 mila tamponi al giorno in più», dice Biasci. Dipartimenti che – aggiunge – «stanno affogando». E «comunque non potevamo tirarci indietro da una richiesta che arriva dal nostro Paese», continua. E, per chi ha paura di effettuarli nel proprio studio, Missaglia propone, come ha intenzione di fare la Regione Puglia, di mettere a disposizione dei luoghi ad hoc in cui accogliere i pazienti da sottoporre al tampone.

«Io non farò tamponi nel mio studio, vengano i politici a farli»

Pediatri a parte, i medici di famiglia sono già sul piede di guerra, come racconta Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano, che a Open dice: «Non ho intenzione di fare tamponi nel mio studio anche perché, me l’hanno già detto, mi sbatterebbero fuori dal condominio. Non li farei nemmeno per mille euro a tampone (allo stato attuale si parla di 12 euro se fatti al di fuori dello studio, 18 all’interno dello studio, ndr) perché rischio la vita e non ho i dispositivi di protezione adeguati. Questa è una follia, una stupidata. Vengano i politici a farli a queste condizioni. Di morti ne abbiamo già avuti troppi. E, nel caso in cui dovessi avere un paziente risultato positivo al tampone nel mio studio, che faccio? Chiudo tutto, sanifico il mio appartamento ma anche l’ascensore, le scale o il ballatoio? Ma è possibile? Diventerebbe un “cinema”».

«Rischio la rivolta dei condomini»

Rossi, senza mezzi termini, boccia l’accordo e parla di una «rivolta collettiva». «Io sono già stato diffidato dall’amministratore di condominio in cui si trova il mio studio perché qualche paziente, dicono, andava in giro senza mascherina o perché hanno visto 2-3 persone in attesa di prendere una prescrizione medica. Si tratta di anziani a cui non posso mandarle via mail. Quindi, figuratevi se inizio a fare i tamponi. Mi aspetto la rivolta». L’intesa, è bene ricordarlo, prevede la prestazione obbligatoria. I tamponi rapidi andranno eseguiti ai contatti stretti asintomatici di positivi, ai casi ritenuti sospetti che il medico di famiglia è tenuto a visitare e a coloro che, alla fine dei 10 giorni di isolamento, devono sottoporsi a un tampone.

Foto in copertina di repertorio: EPA/IAN LANGSDON

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