Tra le zone più colpite le province di Crotone e Cosenza, ma anche le Isole Eolie, rimaste prive di collegamenti con la terraferma
È ancora allerta rossa per il maltempo in Calabria dove pioggia e vento di burrasca hanno causato danni e allagamenti in diverse città, in particolare in provincia di Crotone e Cosenza. Nella zona dell’Alto Jonio, infatti, da venerdì scorso, sono oltre duecento gli interventi effettuati dai vigili del fuoco (160 nel crotonese e 60 nel cosentino). Preoccupa l’ingrossamento del fiume Esaro, che già nel 1996, esondando, causò 6 morti e ingenti danni nei quartieri San Francesco e Fondo Gesù a Crotone. A Melissa, nel Crotonese, un ponte è crollato sotto il peso della pioggia, ma per fortuna non ci sarebbero persone coinvolte.
Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev | Strade allagate a Crotone dopo un forte nubrifagio che si è abbattuto sulla città
Al contempo 40 persone sono state evacuate sul lungomare di Schiavonea, frazione di Corigliano Rossano, a causa dell’acqua che ha raggiunto le abitazioni e le principali strade cittadine e alle reti ferroviarie della regione. Inoltre si sono registrati problemi sugli impianti di conduttura dell’acqua gestiti dalla società Sorical, tant’è che diversi comuni sono rimasti privi d’acqua potabile.
Allerta alta in tutto il Sud Italia
E in soccorso dei volontari della Protezione Civile e dei Vigili del fuoco calabresi è partita una “colonna mobile” costituita da 10 squadre di oltre 40 volontari della Protezione Civile della Campania, provenienti da Napoli, Avellino, Caserta e Salerno. Ma il maltempo ha raggiunto anche le Isole Eolie che dal tardo pomeriggio di ieri, 21 novembre, a causa delle forti raffiche di vento, sono rimaste prive di collegamenti con la terraferma. Così come in Calabria, anche nelle sette isole dell’arcipelago anche l’acqua ha invaso alcune strade dei piccoli centri bloccando la normale circolazione del traffico.
In copertina: da Facebook le immagini di Cirò Marina la mattina del 22 novembre 2020
Il tema della salute, come mai prima nell’era della comunicazione digitale, ha egemonizzato il dibattito pubblico. La politica, la stessa economia hanno ceduto il loro spazio alle scienze: medici che spiegano il comportamento del nuovo Coronavirus, fisici e matematici che traducono, graficamente, il trend epidemiologico, esperti di gestione della crisi che implementano e raccontano piani di contenimento dei contagi. È in corso un’infodemia di carattere sanitario. Proprio durante la circolazione di una tale mole di informazioni legate alla salute, però, sorprende come il tema dell’alimentazione sia trascurato. I due argomenti, invece, sono strettamente correlati: il consumo di cibo sano incide sul benessere fisico e, mentre si parla delle terapie per guarire dalla Covid-19, ci si dimentica di chi, anche a causa della pandemia, muore di fame. Letteralmente.
Milano, giù dalle terrazze
Anche nella città dove la prosperità sembra riflettersi sui grattacieli di vetro, la ricchezza si misura in attici e gli ape in terrazza sono il coronamento di una settimana di lavoro ben retribuito, c’è chi non ce la fa a comprare nemmeno il pane. Bisogna scendere, però, dalle terrazze per vedere la coda fuori dagli empori alimentari della Caritas: «Da quanto è scoppiata la pandemia, i numeri delle persone assistite sono raddoppiate». Sempre più senzatetto affollano, di notte, le traverse del nobile corso Vittorio Emanuele. Si riparano, con cartoni e tende di fortuna, sotto le vetrine dei marchi più lussuosi. E spostandosi dal centro, restando per strada ed evitando “i piani alti”, la situazione è analoga: al posto degli sfarzi di borse e abiti, chi non ha una dimora dorme all’ombra di un bancomat o davanti ai supermercati chiusi. Alla loro riapertura, aspettano che qualcuno possa donare un euro o un tramezzino.
La fame nei numeri della Food Policy
Già dopo Expo 2015, il Comune di Milano ha attivato una Food Policy, il programma di politica alimentare sostenuto da Fondazione Cariplo per garantire l’accesso al cibo. Solo nella prima fase della pandemia, da marzo a giugno, gli hub del progetto hanno donato 600 tonnellate di cibo. Un dato che, tradotto nell’unità di misura dell’aiuto reale, significa un milione e 600 mila pasti distribuiti a oltre 6 mila nuclei famigliari in ristrettezze economiche. A questi numeri, si aggiungono ulteriori 15.800 buoni spesa distribuiti alle famiglie solo nell’ambito di questa iniziativa. «Vediamo la povertà concentrarsi sempre più nei territori a grande urbanizzazione – racconta Marco Magnelli, direttore di Banco Alimentare Lombardia – Milano e hinterland la fanno da padrone: quasi il 50% del nostro aiuto alimentare è assorbito dall’area urbana di Milano. In generale, questo trend in forte aumento lo notiamo nelle grandi città di tutta Italia».
La regione più colpita dalla pandemia
Alla povertà crescente si sommano le difficoltà organizzative del terzo settore, anch’esse soggette alle restrizioni della mobilità previste dalle norme anti-contagio. Banco Alimentare Lombardia, nella prima fase della pandemia, ha dovuto interrompere l’80% delle sue attività, «anche perché molti operatori sono anziani e sono considerati dei soggetti a rischio». D’altro canto, c’è stata maggiore partecipazione del mondo giovanile alle attività di volontariato: «Sono nate organizzazioni, anche informali, con cui abbiamo potuto fare rete», chiosa Magnelli. Banco Alimentare Lombardia ha dovuto affrontare un incremento del 40% delle richieste di cibo, «aumento che ci preoccupa molto, perché è un numero che si è strutturato dopo il primo lockdown». I volontari hanno notato, poi, che molte delle persone raggiunte dagli aiuti appaiono spaesate: «Questo ci lascia intendere che non si tratta di gente abituata a ricorrere al pacco alimentare. Piuttosto, in molti casi si presentano da noi famiglie normalissime, persone vestite bene che, contro ogni evidenza, sono piombate in uno stato di indigenza».
L’identikit di chi ha bisogno
«Chi si sta rivolgendo a noi per la prima volta – continua Magnelli – spesso ha perso il lavoro recentemente. Magari sono autonomi o lavoratori in nero. È indicativo, però, l’aumento del bisogno in tante famiglie che definirei davvero normali». Solo sul territorio lombardo, la rete delle organizzazioni caritative che attinge alimenti dal Banco Alimentare aiuta 204mila persone: una città intera, affamata. «Ci sono giovani, tanti giovani che non hanno lavori stabili e che, adesso, ci stanno chiedendo una mano», aggiunge il presidente di Progetto Arca, Alberto Sinigallia. L’Onlus ha avviato alcuni osservatori specializzati sulla povertà nell’era Covid e, stando ai numeri comunicati dal presidente, l’emergenza alimentare su tutto il territorio nazionale è triplicata: «Siamo passati da seguire 500 famiglie a 1.500, soprattutto al Sud, dove i lavori sono più precari è c’è molta manodopera in nero. Soffrono, appunto, i più giovani e le famiglie con bambini». Sinigallia è preoccupato anche dall’incidenza della crisi economica della pandemia sui senza tetto.
Senza casa, senza cibo
«C’è stato un aumento, non altissimo in numero percentuale, dei senza fissa dimora – mette in guardia -. Quando finiranno le casse integrazioni e inizieranno i licenziamenti, ci aspettiamo un incremento negli sfratti». Un problema, quello della casa, che si interseca con la scarsità di cibo: «Per i volontari è più difficile garantire i servizi a chi non è raggiungibile tra quattro mura. La situazione in strada è parecchio dura». Per quanto riguarda i progetti di housing sociale, Progetto Arca sta cominciando ad avere «le prime richieste da persone insospettabili». «Il bisogno sta crescendo e le risorse non sono infinite: non si tratta di un periodo di crisi che finirà con il Covid – conclude Sinigallia -. Magari il contagio si arresterà, ma le problematiche economiche delle famiglie dureranno per molto, molto più tempo». Progetto Arca ha salvato la vita a Paolo, un uomo di 57 anni sposato e con due figli. Dopo aver perso il lavoro, i debiti hanno iniziato ad accumularsi e la sua famiglia è stata costretta a dividersi, ricevendo ospitalità da vari parenti e arrangiandosi con soluzioni di fortuna: «Ho dormito in auto per mesi – racconta Paolo -. A un certo punto, ho pensato di farla finita».
Nei video, Paolo racconta i suoi disagi economici prima e dopo la pandemia: il Coronavirus ha portato instabilità in una situazione già di per sé precaria che, tuttavia, stava migliorando: l’uomo aveva trovato un nuovo lavoro per versare gli ultimi contributi necessari a maturare le settimane per la pensione. Con il primo lockdown è arrivata anche la cassa integrazione e tutto è crollato, di nuovo. Progetto Arca, che ha trovato un posto per la famiglia di Paolo all’interno del progetto di housing sociale dell’Abbazia di Mirasole, a Rozzano, adesso deve sopperire al bisogno alimentare.