Coronavirus, i numeri in chiaro. Pregliasco: «Avremo ancora due o tre settimane di numeri devastanti sui morti»

di Giada Ferraglioni

Il professor Pregliasco ha commentato per Open i dati di oggi: «I dati sui decessi sono terribili. E preoccupano anche gli ingressi giornalieri in terapia intensiva»

I morti sono ancora tanti, troppi. In Italia il Coronavirus sta mietendo più vittime che in tutto il resto d’Europa. Siamo primi per numero assoluto di decessi e quarti in rapporto alla popolazione. Il bilancio è arrivato a 64.036, di cui 649 solo nelle ultime 24 ore. Eppure, dice il virologo Fabrizio Pregliasco, «ci siamo anestetizzati. I numeri sui decessi sono terribili e non ci fanno più effetto». Ormai, insiste il direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano e presidente dell’Anpas, «siamo contenti quando ne abbiamo solo 500. Non ci rendiamo più conto di cosa significhi la morte di centinaia e centinaia di persone».


Professor Pregliasco, si è detto in tutte le salse che il numero dei morti è la conseguenza del boom dei contagi. Ma i morti sono davvero tanti e lo sono da molto tempo. Quanto durerà questa fase di assestamento?


«Sinceramente speravo che a questo punto la situazione fosse già migliorata. Il fatto che non lo sia ci mette davanti a un’evidenza: abbiamo davanti ancora due o tre settimane di numeri devastanti. Siamo arrivati al picco e ci siamo accorti che in realtà non c’era la punta come ci aspettavamo, ma un lungo plateau. Stiamo percorrendo un altopiano e non sappiamo ancora quando torneremo in basso. Sì, è vero che l’età media dei decessi è di 80 anni – che poi non significa assolutamente nulla – ma ci sono anche cinquantenni e sessantenni che perdono la vita».

L’aumento giornaliero delle terapie intensive ci fa capire che, oltre allo strascico del boom dei contagi, continuiamo ad avere un numero importante di ingressi tra gli ospedalizzati gravi. Cosa significa?

«Questa è la vera nota dolente di quanto sta succedendo: non si arrestano le ospedalizzazioni. L’Rt ora è intorno allo 0,8, il che da una parte significa che non dovremmo temere nuove crescite dei livelli di diffusione del virus ma dall’altra è anche vero che questo tipo di lockdown morbido non ci porta a un freno totale. Che è poi quello che ha detto Angela Merkel».

Il governo sta pensando di ammorbidire ulteriormente le misure in vista del Natale. Non c’è rischio di far passare il messaggio che fare uno strappo alla regola, ogni tanto, non è una cosa poi così grave?

«Sì. Io capisco che stiamo chiedendo alla popolazione di fare una maratona. Ed è vero che si sta cercando di riprendere un po’ di fiato, sia per esigenze politiche che per necessità economiche. Ma è importante che questo rallentamento non coincida con un azzeramento totale delle accortezze di ognuno di noi, perché altrimenti la maratona la perdiamo. Non dobbiamo sfruttare in modo capzioso queste concessioni, magari trovando dei modi fantasiosi per aggirare i divieti».

Oltre alle misure ad hoc per il Natale, c’è anche la questione delle nuove zone gialle, come Lombardia e Piemonte. Questi sono territori che hanno faticato molto dal punto di vista dell’ospedalizzazione durante la seconda ondata. Pensa che le riaperture provocheranno una ricaduta su quei territori?

«Anche in questo caso dipenderà da noi. Spero che i cittadini non usino al massimo queste libertà o, peggio, che esagerino».

Lei lavora a Milano. La situazione le sembra incoraggiante?

«A Milano le cose stanno migliorando. Io sono presidente nazionale dell’Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e i volontari che lavorano con le ambulanze mi dicono che in questo momento vengono chiamati meno. Questo ci fa respirare. Ora speriamo che non ci rovinino il lavoro».

A proposito di zone gialle, la Regione Veneto continua ad avere grandi difficoltà ma, visto l’indice Rt e i livelli di saturazione ospedaliera, può rimanere in allerta bassa. Cosa ne pensa? Bisognerebbe rivedere i criteri?

«Non c’è un manuale scientifico di gestione della pandemia. Si fanno dei tentativi per modulare gli interventi. Dal punto di vista pratico è ovvio che fare un lockdown inesorabile avrebbe garantito meno morti e meno ricoveri. D’altra parte dare dei segnali positivi alle Regioni può stimolare a fare meglio. Ma il rischio è che si adagino un po’ troppo».

Immagine di copertina: grafica di Vincenzo Monaco

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