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Sfide, missioni, denaro: cos’è e cosa prevede il Recovery Plan italiano

15 Gennaio 2021 - 18:20 Federico Bosco
Guida rapida al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che punta investire 223 miliardi di euro dei fondi europei stanziati per l’emergenza Coronavirus

Per far ripartire le economie dell’Unione europea messe in ginocchio dalla pandemia, lo scorso luglio l’Ue ha approvato il programma straordinario Next Generation EU (Ngeu), noto come Recovery Fund, un fondo speciale volto a finanziare la ripresa economica nei prossimi anni, con emissioni di titoli europei che serviranno a sostenere progetti e riforme strutturali stabilite da piani di riforme e investimento (Recovery Plan) in ognuno dei 27 stati membri dell’Ue. In totale la somma programmata è di 750 miliardi di euro, composta da 390 miliardi di trasferimenti a fondo perduto (grants) e 360 miliardi di prestiti (loans), suddivisi in base alle diverse necessità degli Stati membri più colpiti dal Coronavirus. L’Italia e la Spagna sono tra i maggiori beneficiari del Ngeu, in gran parte è da loro che dipenderà il giudizio sul Recovery Fund, e quindi la possibilità che diventi uno strumento permanente.

Per accedere ai fondi, gli Stati membri devono presentare i Recovery Plan alla Commissione europea entro aprile 2021, con la possibilità di discuterlo fino a giugno dello steso anno. Le condizioni da rispettare vengono stabilite durante l’approvazione dei piani, fondamentalmente sono i programmi stessi la condizione da rispettare. Se non vengono rispettati gli impegni presi nei piani di attuazione, l’erogazione dei fondi potrebbe essere sospesa o bloccata. All’Italia spettano 83 miliardi di sovvenzioni e 127 miliardi di prestiti, ma come vedremo, il totale delle risorse a cui è possibile attingere è superiore. L’erogazione delle sovvenzioni è concentrata nel periodo periodo 2021-2023, i prestiti dovrebbero essere erogati entro il 2026. Per gli organi decisionali degli Stati membri e della Commissione, sarà uno sforzo enorme e prolungato.

L’Italia e il Piano nazionale di ripresa e resilienza

Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 2020 il Consiglio dei ministri del governo ha approvato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ovvero il Recovery Plan italiano. Il piano finale punta a investire 223 miliardi di euro, una capacità di spesa aumentata ulteriormente rispetto alle prime bozze che facevano riferimento solo ai 196 miliardi del Recovery Fund in senso stretto, ai quali sono stati aggiunti i fondi di coesione e sviluppo e i 13 miliardi del ReactEU, per un totale appunto di 223 miliardi. I fondi del Pnrr a loro volta sono stati integrati con altri 7 miliardi di fondi strutturali e 80 miliardi di risorse programmate per il periodo 2021-26 dal bilancio nazionale, per un totale di 310 miliardi. Un Recovery Plan ambizioso, il più grande programma di spesa nella storia italiana recente, che metterà alla prova la capacità italiana (tutt’altro che buona) di utilizzare appieno i fondi strutturali.

Il Pnrr riconosce quattro sfide principali e identifica 6 missioni, che raggruppano 16 componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del governo. Per ogni missione vengono indicate le riforme necessarie a una più efficace realizzazione dei progetti, che andranno concordate con la Commissione.

Le quattro sfide sono:

  • migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia;
  • ridurre l’impatto economico e sociale della crisi pandemica;
  • sostenere la transizione verde e digitale;
  • innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione.

Le sei missioni, che a loro volta raggruppano i 16 componenti, sono:

  • digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
  • rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • istruzione e ricerca;
  • inclusione e coesione;
  • salute.

Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura

La missione prevede una spesa di 46 miliardi suddivisi in tre componenti:

  • pubblica amministrazione;
  • sistema produttivo;
  • cultura e turismo.

Sono previsti la nascita di «poli strategici nazionali» per garantire più servizi digitali (dai pagamenti alla cittadinanza digitale). in un contesto di maggiore efficienza e sicurezza nella gestione dei dati sensibili. Semplificazione e riforme della Giustizia (collegata all’aumento della digitalizzazione) e un piano Transizione 4.0 per il sistema produttivo in cui si punta sulle reti veloci in fibra ottica, il 5G e sistemi satellitari. Nel capitolo Cultura e Turismo del Recovery Plan ci sono programmi come la riqualificazione di borghi, parchi, giardini storici e periferie; e progetti più definiti come quello per il Giubileo del 2025 a Roma.

Rivoluzione verde e transizione ecologica

Con 69,9 miliardi, è la missione con più risorse. Per l’Ue la riconversione verde è uno dei obiettivi principali di tutto il Ngeu, nell’idea alla base del concetto di Next Generation c’è la volontà di consegnare alle prossime generazioni un modello basato su un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente, e i principi della Green Economy pervadono la maggior parte dei Recovery Plan. Come vedremo, l’aggettivo «sostenibile» accompagna molte descrizioni. Gli obiettivi dichiarati nelle quattro componenti sono:

Nella lista troviamo anche la decarbonizzazione dell’ex Ilva.

Infrastrutture per una mobilità sostenibile

La somma destinata all’intervento sulle infrastrutture è di 32 miliardi, l’obiettivo è realizzare una rete infrastrutturale di mobilità moderna, digitalizzato e sostenibile. La maggior parte delle risorse (28,3 miliardi) sono destinate a ferrovie e strade, con un focus sul Mezzogiorno. Si punta a rafforzare le grandi linee di comunicazione del Paese (in primis ferroviarie), e a mettere in sicurezza viadotti e ponti stradali con sistemi di monitoraggio digitale. Gli altri 3,68 miliardi del Recovery Plan sono destinati all’intermodalità e alla logistica integrata, con investimenti per rendere i porti più competitivi e sostenibili.

Istruzione e ricerca

Con i 28,5 miliardi della missione dedicata all’Istruzione si vogliono colmare i deficit di competenze che limitano il potenziale di crescita, migliorare i percorsi scolastici e universitari e agevolarne l’accesso, rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni. Tra i principali obiettivi, è significativo trovare cose non scontate come l’aumento dell’offerta di asili nido e altri servizi per l’infanzia (molto utili alle famiglie giovani), l’ampliamento delle opportunità di accesso all’istruzione e il contrasto all’abbandono scolastico (che in Italia è al 14,5% contro una media Ue del 10,6%). Inoltre, in nome della ambiente e della digitalizzazione, sono previsti l’efficientamento energetico e la cablatura degli edifici scolastici.

Inclusione e coesione

Per intervenire sulle «fragilità sociali» ci sono 27,26 miliardi, destinati alle politiche per il lavoro con un’attenzione particolare a donne, giovani e famiglie in condizioni di marginalità. Non manca un preciso impegno al contrasto delle discriminazioni di genere, e il sostegno all’empowerment femminile. Per il lavoro nel Recovery Plan si ipotizza la revisione delle politiche attive, con il rafforzamento dei centri per l’impiego e la loro integrazione con i servizi sociali e con la rete degli operatori privati. Tra gli obiettivi l’aumento dell’occupazione, soprattutto giovanile. La componente «infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore», mira a supportare situazioni di fragilità sociale ed economica, con una specifica linea d’intervento pensata per le persone non autosufficienti o con disabilità, attraverso l’incremento dei servizi e delle reti di assistenza. La «coesione territoriale» si pone l’obiettivo di occuparsi non solo del Mezzogiorno, ma anche di periferie urbane, campagne deindustrializzate, e delle cosiddette «aree interne».

Salute e Sanità

Alla sanità sono destinati 19,72 miliardi, una cifra alta, ma più bassa di quel che ci si potrebbe aspettare. L’assistenza di prossimità e la digitalizzazione del sistema e dei servizi sono tra le principali linee guida degli investimenti. Nel testo viene detto che il servizio sanitario deve essere «vicino ai bisogni delle persone», sia attraverso l’aumento delle strutture sul territorio che con l’aumento della telemedicina. Tra gli obiettivi la realizzazione di una «casa della comunità» ogni 24.500 abitanti, strutture che dovranno diventare il punto di riferimento sanitario sul territorio, la realizzazione di 730 mini-ospedali entro il 2026 e l’ammodernamento del parco tecnologico ospedaliero con la digitalizzazione e l’arrivo del fascicolo sanitario elettronico.

Il punto di partenza di un percorso impegnativo

Nonostante l’impegno, il Pnrr così com’è non può soddisfare le richieste della Commissione europea. Nelle linee guida per la stesura dei Recovery Plan, Bruxelles chiede di indicare progetti specifici, modalità di realizzazione, tempistiche e stime tecniche. Nel documento c’è molto poco di questo, il piano va preso per quello che è, il punto di partenza di un percorso di revisione e approvazione che sarà lungo e molto impegnativo. Quella che abbiamo letto in sostanza è una bozza che indica capitoli di spesa e obiettivi ambiziosi, moralmente indiscutibili, ma che non entrano nel merito dei meccanismi di attuazione dei programmi e della valutazione dei risultati.

Inoltre, nel Pnrr non viene specificata quale sarà la governance del piano e questa è la mancanza più significativa. Palazzo Chigi fa sapere che la proposta per la governance sarà presentata in Parlamento, ma finché non verrà chiarito questo punto è difficile andare avanti. La Commissione ha bisogno di avere interlocutori precisi, sapere cosa sarà fatto, come, dove, quando e perché. Servono orizzonti temporali, previsioni macroeconomiche, dettagli sul modus operandi e tutto il necessario per consentire la valutazione prima, durante e dopo le fasi di realizzazione.

I numeri del Recovery Plan

Alcuni numeri ci sono, buoni per farsi un’idea di cosa serve. Per esempio, il Pnrr punta a raddoppiare il tasso medio di crescita dell’economia italiana dallo 0,8% degli ultimi 10 anni a un 1,6% in linea con la media Ue, aumentare gli investimenti pubblici fino almeno al 3% del Pil, far crescere la spesa per ricerca e sviluppo dall’1.3% al 2,1% (al di sopra della media Ue), portare il tasso di occupazione dall’63% al 73,2%, (in linea con la media Ue).

Il lavoro quindi non è finito. Nei prossimi mesi la Commissione dovrà valutare 27 Recovery Plan nazionali, e anche se per molti Paesi le somme più contenute e la comprovata capacità di amministrare fondi strutturali dovrebbe consentire un’approvazione veloce, per Bruxelles resta comunque un collo di bottiglia impegnativo. Nel caso di Italia e Spagna poi, visto il volume delle somme in gioco e il passato di scarsa performance nell’uso di fondi strutturali, le discussioni saranno sicuramente tra le più complesse.

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