Anticorpi monoclonali, tra costi e varianti saranno davvero la svolta?

Autorizzati da Aifa, i nuovi farmaci in sperimentazione anche in Italia potrebbero rivoluzionare la cura di Covid-19 soprattutto in casa. I prezzi però spaventano un mercato già stressato dalla corsa ai vaccini

Cosa sono?

Gli anticorpi monoclonali sono molecole biologiche in grado di riconoscere, e neutralizzare in maniera specifica un determinato antigene, dove per antigene si intende una sostanza riconosciuta dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa. Un virus è formato da tante differenti sezioni sulla sua superficie, dove è possibile individuare i cosiddetti linfociti. I linfociti non sono nient’altro che le cellule di difesa del sistema immunitario che pattugliano il nostro corpo. È proprio da queste che parte la produzione degli anticorpi monoclonali.


Come si producono?

Isolando un singolo linfocita gli scienziati permettono a questo di duplicarsi producendo anticorpi tutti uguali: e cioè i monoclonali. Il clone cioè di un singolo linfocita che sarà capace di riconoscere uno specifico virus, batterio o microrganismo e bloccarlo.


Come agiscono contro la Covid-19?

Gli anticorpi monoclonali agiscono contro Covid-19 come tutti gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario. Si legano all’agente patogeno, in questo caso a SARS-Cov-2, riuscendo in due obiettivi:

  • impedendo di far entrare il virus nelle cellule umane, di farle quindi infettare e di provocare una replicazione veloce all’interno dell’organismo.
  • rendendo il sistema immunitario più potente nell’azione di fagocitamento del virus. Le cellule adatte a questa operazione sono i cosiddetti macrofagi: presenti in fegato, milza e tessuti vengono potenziati dalla presenza di anticorpi ad hoc per la difesa da SARS-Cov-2.

Prevenzione o cura?

I monoclonali hanno un’azione preventiva contro il Coronavirus. Se vengono somministrati a soggetti che successivamente contraggono l’infezione, possono bloccare l’ingresso e la duplicazione del virus nelle cellule inibendo lo sviluppo della malattia o comunque determinando una malattia meno grave. Nei termini invece di una terapia da somministrare a chi ha contratto già l’infezione, gli studi finora disponibili hanno provato una forte efficacia soprattutto nella fase precoce della malattia, quella più soggetta alla replicazione del virus. Per chi invece si trova in uno stadio più avanzato della malattia, gli anticorpi non risultano purtroppo efficaci.

I dati forniti dalla casa produttrice del farmaco Lilly, uno dei principali monoclonali studiati anche da Aifa, attestano una riduzione del rischio del 70% per quanto riguarda ospedalizzazione e mortalità. Su 1.035 pazienti ci sono stati 11 tra ricoveri e decessi (pari al 2,1%) tra i soggetti che assumevano la terapia con anticorpi monoclonali e 36 (il 7,0%) in quelli che assumevano placebo. 

Da qui la possibilità l’idea di poter utilizzare la cura monoclonale soprattutto per le cure in casa, per tutti quei soggetti cioè che presentano i sintomi iniziali del virus e che potrebbero, come spesso accade, trasformarsi in casi molto più gravi e bisognosi di un ricovero.  «Essendo antivirali vanno dati entro le prime ore dall’esordio dei sintomi», aveva giorni fa spiegato lo stesso Palù, sottolineando come la cura potesse essere rivoluzionaria per la terapia domestica.

Le zone d’ombra: il fallimento sulle varianti

Regeneron, Eli Lilly e GlaxoSmithKline, i tre principali concorrenti per la cura monoclonale, non sarebbero utili per la difesa dalle mutazioni di SARS-Cov-2. Ad averlo scoperto è il team di ricerca del Cancer Research Center di Seattle: nella popolazione sarebbero presenti già alcune mutazioni in grado di sfuggire alla cura con anticorpi.

«La sfida è arrivata a Natale quando sono apparse queste nuove varianti, in particolare quelle del Sud Africa e del Brasile. I cambiamenti che il virus fa nelle sue proteine ​​Spike sconfiggono gli anticorpi monoclonali», ha spiegato al Guardian Nick Cammack, a capo del COVID-19 Therapeutics Accelerator.

In particolare le varianti che avrebbero fatto resistenza sono due delle maggiori attualmente diffuse nel mondo, nello studio si legge chiaramente: «La maggior parte delle terapie anticorpali di punta per Covid, sono un fallimento per le varianti sudafricane e brasiliane». La notizia ha creato non poco sgomento nello scenario di un mondo in lotta non solo con il SARS-Cov2 ma anche con tutte le sue mutazioni.

La nota dolente dei costi

Uno dei tasti più dolenti riguardo l’introduzione dei monoclonali nel mercato europeo e italiano è quello dei costi. Ce li potremmo permettere? La domanda è più che legittima soprattutto quando il futuro della nuova cura potrebbe essere quello di una diffusione di massa. Produrre anticorpi monoclonali costa molto. Sono proteine biologiche più complesse rispetto alle molecole che costituiscono gli altri farmaci e se ci riferiamo ai costi delle terapie monoclonali presenti ad oggi sul mercato, le cifre non risultano affatto modiche.

Negli Stati Uniti si va da un minimo di 15 mila dollari a un massimo di 200 mila per un anno di trattamento. Per l’Italia nelle ultime settimane si era parlato di un prezzo fino a 2.000 euro a dose, con tutte le possibili varianti al rialzo in un mercato ora più che mai affamato di cure e terapie innovative. A rassicurare sono state le ultime dichiarazioni di Magrini, secondo cui il governo italiano avrebbe individuato un fondo apposito per finanziare l’acquisto dei monoclonali.

«Avremo una disponibilità economica in grado di coprire decine di migliaia di pazienti» ha assicurato, «ci sono almeno tre o quattro aziende in fase 3 avanzata e altre già in via di sviluppo». Dal ministero della Salute fanno sapere che nel decreto Agosto in riconversione sono stati indicati 80 milioni di euro per tutti i monoclonali per il 2020, 300 milioni per il 2021.

Una parte dei soldi saranno destinati alla ricerca per avere monoclonali italiani, mentre gli altri serviranno per acquistare le dosi. Secondo quanto assicurato da Aifa e ministero, dunque, il Paese sarebbe pronto a munirsi della preziosa cura. E a rassicurare era stato giorni fa anche lo stesso capo del team di ricerca Rino Rappuoli, coordinatore del Monoclonal Antibody Discovery (Mad) Lab.

«Il monoclonale che abbiamo realizzato è estremante potente. Saranno necessarie dosi basse: invece di funzionare in grammi pensiamo che funzioni con 100 milligrammi a dose. Quindi i costi saranno molto più accessibili. Non avranno ovviamente i prezzi bassi dei vaccini, ma si avvicinano», ha spiegato il professore. In attesa che le previsioni ottimistiche degli esperti si verifichino, la valutazione sui costi oggettivi della terapia monoclonale non disegna certo i tratti di una cura accessibile a tutti.

Sulla bilancia dei costi, oltre alla produzione, c’è un ulteriore elemento che concorrerebbe al prezzo oneroso ed è la modalità di somministrazione. Può avvenire solo attraverso iniezione, comportando quindi costi aggiuntivi per la presenza di personale sanitario. Non è ritenuta possibile la somministrazione per via orale: trattandosi di proteine verrebbero digerite e distrutte.

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