La risposta di Regeneron ed Eli Lilly alle varianti Covid? Una mappa delle mutazioni che sfuggono agli anticorpi

Un report mette alla prova gli anticorpi monoclonali con diverse possibili mutazioni

Un gruppo di ricercatori delle università di Seattle e Boston ha studiato dai database 3.804 mutazioni su 3.819 note. Interessano tutte il legame del Coronavirus coi recettori delle cellule. Per farlo il virus utilizza il suo antigene, la glicoproteina Spike (S). Sono state quindi mappate 2.034 mutazioni della proteina, nel punto in cui avviene il legame. A queste corrispondono diverse conformazioni.


È come se il virus sviluppasse chiavi di forma leggermente diversa. Così il virus potrebbe migliorare (o peggiorare) il modo in cui riesce a scassinare la porta di ingresso delle cellule. Inoltre l’antigene – questa «chiave» – a seconda della conformazione, può rendersi più o meno riconoscibile dagli anticorpi. A una maggiore capacità di sfuggire alle nostre difese non è detto che corrisponda un miglioramento del suo legame con le cellule e viceversa.


I ricercatori di Seattle e Boston hanno recentemente pubblicato su Science un report riguardante alcuni risultati emersi dalla «mappatura prospettica delle mutazioni virali che sfuggono agli anticorpi usati per trattare [la] COVID-19». I farmaci studiati sono il cocktail di monoclonali REGN-CoV2 di Regeneron e l’anticorpo etesevimab (LY-CoV016) di Eli Lilly. Non viene invece menzionato il suo secondo monoclonale, bamlanivimab (LY-CoV555).

«Viene mappato il modo in cui tutte le mutazioni del dominio di legame del recettore (RBD) di SARS-CoV-2 influenzano il legame degli anticorpi nel cocktail REGN-COV2 e l’anticorpo LY-CoV016. Queste mappe complete rivelano una singola mutazione dell’amminoacido che sfugge completamente al cocktail REGN-COV2 – continuano i ricercatori – Nel complesso, queste mappe di fuga complete consentono l’interpretazione delle conseguenze delle mutazioni osservate durante la sorveglianza virale».

Successivamente il gruppo ha fatto altre verifiche: sulla possibilità che certe mutazioni emergano dalla pressione selettiva dei trattamenti con gli anticorpi e sulla loro capacità di reagire alle mutazioni che maggiormente ci preoccupano. Prima di proseguire facciamo il punto su quanto è emerso nelle ricerca sugli anticorpi monoclonali e le varianti-Covid. Queste sono costituite da diversi corredi di mutazioni, alcune caratteristiche di una variante, altre condivise tra varianti diverse.

I progressi dei monoclonali di Eli Lilly e lo studio delle varianti

I farmaci monoclonali si basano su anticorpi neutralizzanti selezionati dal plasma dei pazienti convalescenti, e rappresentano per questo un’arma farmaceutica promettente. Diverse varianti presentano mutazioni riguardanti il RBD (Receptor Binding Domain), ovvero quella porzione dell’antigene che lega coi recettori delle nostre cellule, in particolare gli ACE2. Sulla diffusione delle varianti e la loro presunta pericolosità sappiamo ancora molto poco. Per approfondire suggeriamo la nostra intervista all’esperto di genomica comparata Marco Gerdol. Sono allo studio versioni alternative dei farmaci per diverse varianti, come quella sudafricana.

Il più recente comunicato della Eli Lilly sui suoi anticorpi monoclonali, bamlanivimab (LY-CoV555) e etesevimab (LY-CoV016), si riferisce a una sperimentazione. Questa conferma i risultati riscontrati in precedenza. Ora la ricerca è in fase 2/3. I risultati comunicati dall’azienda sono riscontrabili nello studio apparso il 21 gennaio su JAMA.

Sulle fasi di sperimentazione potete approfondire in un nostro precedente articolo. Eli Lilly era già interessata a ottimizzare i suoi farmaci per far fronte all’eventualità che le varianti Covid potessero mettere in difficoltà anche i monoclonali. Secondo il CEO Dave Ricks, il monoclonale bamlanivimab non dovrebbe avere problemi con la variante trovata nel Regno Unito. 

Alcune mutazioni sotto osservazione

Secondo diversi studi preliminari, le mutazioni E484K e N501Y derivate dal primo ceppo isolato in Cina (Wuhan-Hu-1) migliorerebbero il legame coi recettori delle cellule. Generalmente si tratta però di risultati emersi osservando il virus nelle colture cellulari.

Ecco di seguito tre mutazioni sotto osservazione:

  • N501Y – In comune con la variante inglese e sudafricana;
  • E484K – Contraddistingue la variante sudafricana;
  • S477N – Emersa nelle varianti trovate l’estate scorsa in Spagna.

In che modo emergono le mutazioni? Come queste permetterebbero al SARS-CoV-2 di sfuggire ai farmaci monoclonali? Il report di Science non è in grado di dare risposte definitive. Non di meno, quanto osservato dai ricercatori è un punto di partenza importante per eventuali «aggiornamenti», sia dei monoclonali, sia dei vaccini di ultima generazione.

La mutazione «E406W» sorprende i ricercatori

Sull’ipotesi per la quale le varianti possano influire negativamente sulla nostra capacità di vaccino e cura contro la Covid-19 non sussistono al momento prove robuste. Non sappiamo se queste mutazioni rendano il virus davvero più forte, o se lo aiutino a diffondersi più di quanto non lo facciano altri fattori.

Sappiamo che più dura la malattia, maggiore è la probabilità che si sviluppino mutanti. Si ritiene infatti che le varianti emergano da pazienti immunocompromessi, trattati con plasma iperimmune. Secondo i ricercatori è essenziale capire quali mutazioni potrebbero sfuggire agli anticorpi monoclonali. Questa eventualità è infatti probabile. Non possiamo permetterci del resto, di attendere evidenze decisive in piena pandemia.

«La maggior parte dei principali anticorpi anti-SARS-CoV-2 prendono di mira il dominio di legame del recettore virale (RBD) – continuano gli autori – che media il legame al recettore ACE2. Recentemente abbiamo sviluppato un metodo di scansione mutazionale profonda per mappare come tutte le mutazioni del RBD [che] influenzano la sua funzione e il riconoscimento da parte degli anticorpi antivirali».

Nel report si cercano le mutazioni del RBD che risultano sfuggire agli anticorpi di Regeneron e di Eli Lilly. Quella che risulta maggiormente capace di eludere entrambi i farmaci è la E406W. Questo ha sorpreso gli autori. Forse si aspettavano lo stesso risultato in quelle ritenute più preoccupanti fino a oggi, elencate nel paragrafo precedente.

Vantaggi e svantaggi della pressione selettiva

Del resto, una mutazione che sfugge ai monoclonali comporterebbe a sua volta un impatto svantaggioso o irrilevante per il legame del virus con le cellule. La pressione selettiva che stiamo dando attraverso distanziamento sociale, vaccinazioni e trattamenti farmacologici potrebbe quindi portare a ceppi più deboli? Non lo sappiamo. Non di meno, il fatto che E406W non sia stata trovata nelle varianti note, potrebbe spiegarsi più semplicemente col fatto che il suo emergere richiede condizioni particolari riproducibili in laboratorio, che difficilmente potrebbero verificarsi in natura.

Il cocktail di monoclonali di Regeneron sembrerebbe più debole rispetto all’anticorpo di Eli Lilly con la mutazione E406W.

«E406W è sfuggita a entrambi i singoli anticorpi REGN-COV2 – spiegano i ricercatori – Le analisi strutturali e le selezioni di fuga virale hanno portato Regeneron a ipotizzare che nessuna singola mutazione dell’amminoacido potesse sfuggire a entrambi gli anticorpi nel cocktail, ma le nostre mappe complete identificano E406W come una mutazione di fuga dal cocktail. È importante sottolineare che E406W ha un impatto sugli anticorpi REGN-COV2 in un modo relativamente specifico e non perturba grossolanamente la funzione del RBD, poiché riduce solo leggermente la neutralizzazione da parte di LY-CoV016».

Così i ricercatori hanno voluto accertare se tale mutazione potesse emergere attraverso la pressione selettiva degli anticorpi.

«E406W non è accessibile da un singolo cambiamento di nucleotide, il che potrebbe spiegare perché non è stato identificato dalle selezioni del cocktail Regeneron», concludono gli autori.

È stato esaminato anche il caso clinico di un paziente affetto da Covid-19 per 145 giorni, a cui sono stati somministrati gli anticorpi di Regeneron. I ricercatori non fanno riferimento all’emergere della mutazione E406W. Ne osservano di altre, alle quali il cocktail sembra rispondere senza problemi significativi, che si notano solo quando si prendono in considerazione gli anticorpi singolarmente.

La risposta dei monoclonali alle varianti già note

A questo punto i ricercatori hanno voluto vedere come si comportano i monoclonali con le mutazioni note, riscontrandone tre capaci di sfuggire agli anticorpi. Anche stavolta però non si tratta di quelle che mostrano da sole indizi di una maggiore pericolosità, per quanto presenti nel corredo delle varianti-Covid conosciute:

  • Y453F – Associata ai focolai che hanno colpito gli allevamenti di visoni in Olanda e in Danimarca;
  • N439K – Prevalente in Europa, a partire da Irlanda e Scozia;
  • K417N – Trovata per la prima volta nella variante sudafricana.

«Le uniche mutazioni di fuga presenti in > 0,1% delle sequenze erano il mutante di fuga REGN10933 Y453F, il mutante di fuga REGN10987 N439K e il mutante di fuga LY-CoV016 K417N».

La sostituzione N501Y, tipica delle varianti inglese e sudafricana, sembra avere modesti effetti sul monoclonale di Eli Lilly e nessuno nel cocktail di Regeneron.

«Ovviamente, le nostre mappe non rispondono ancora alla domanda più pressante: SARS-CoV-2 svilupperà una resistenza diffusa a questi anticorpi?», chiosano gli autori del report.

In conclusione, questi risultati sembrano suggerire che l’utilizzo di cocktail di monoclonali sia preferibile. In generale i farmaci di Regeneron e Eli Lilly dimostrano di saper far fronte alle varianti note senza problemi significativi. Non di meno, è importante proseguire con la produzione di esperimenti come quelli descritti nel report, in modo da prevenire l’emergere di mutazioni potenzialmente pericolose e aggiornare, nel caso, vaccini e terapie farmacologiche.

Foto di copertina: Science | Structural context of escape mutations.

Leggi anche: