Vaccino anti-Covid. L’appello degli scienziati per criteri chiari ed efficaci di distribuzione

di Juanne Pili

Cos’è la quarta fase di sperimentazione e con che criteri andranno distribuiti i vaccini per il Coronavirus? L’Appello di Patto Trasversale per la Scienza

Che il 2021 sarà l’anno delle vaccinazioni di massa contro il nuovo Coronavirus è forse l’unica cosa che possiamo ritenere certa. Funzioneranno? Stando a quanto emerso dalla sperimentazione di Fase 3, da parte di Pfizer, di Moderna e di Oxford/AstraZeneca, esistono sufficienti segnali che promettono di dare una battuta d’arresto alla diffusione del virus. Saranno protettivi del tutto o si limiteranno a scongiurare le forme più gravi? Garantiranno una immunità di comunità? Non è proprio come coi vaccini già in uso, che «in generale» sono protettivi al 100% e impediscono il contagio. Anche tra questi esistono delle eccezioni, come per esempio quelli anti-influenzali, quel che fa la differenza è la presenza di una immunità di comunità, che al momento per la Covid-19 non è dimostrata.


Nella nostra Guida ai vaccini anti-Covid abbiamo visto le tre fasi della sperimentazione clinica, seguita a quella pre-clinica, dove si sperimenta su colture e modelli animali:


Si comincia sempre coi test preclinici, dove è indispensabile la Sperimentazione animale. Oggi più che mai è diventata evidente l’importanza di utilizzare degli organismi complessi, in qualche modo simili al nostro, perché una terapia non può dimostrare efficacia e sicurezza sulle sole piastrine da laboratorio. Gli esperimenti in vitro sono sicuramente importanti, ma come primo passo. Già il passaggio dagli esperimenti nelle colture cellulari ai test sugli animali, screma numerose idee che sembravano inizialmente promettenti;

A questo punto il vaccino passa alla Fase I, dove lo si somministra a un piccolo gruppo di persone perfettamente sane, magari del personale sanitario, cominciando a testarne efficacia e sicurezza, cosa che si ripeterà ovviamente nelle fasi successive;

Nella Fase II il numero di volontari a cui si somministra il vaccino comincia a essere più ampio, nell’ordine delle centinaia di persone, divise per gruppi con differenti caratteristiche, almeno uno di questi riceverà un placebo, così da scremare effetti dovuti alla suggestione o ad altri fattori non visti nelle fasi precedenti;

Nella Fase III si fa grosso modo lo stesso genere di test di quella precedente, ma con migliaia di volontari. Diventa fondamentale accertarsi che non vi siano significativi casi di eventi avversi.

Arrivare preparati alla Quarta fase di sperimentazione: l’appello di Patto Trasversale per la Scienza

Sono le tappe che devono essere attraversate nella sperimentazione di tutti i farmaci: La Fase 1 serve a testare subito sicurezza e tollerabilità; nella Fase 2 si comprendono meglio le dosi più efficaci; ecco quindi che in Fase 3, abbiamo una ampia sperimentazione randomizzata e controllata, dove efficacia e sicurezza vengono verificate, confrontando un gruppo di controllo con un placebo. Esiste in verità anche una Fase 4. Leggiamo cosa riporta AIFA (Agenzia italiana del farmaco):

«È la fase della sperimentazione clinica che include gli studi condotti dopo l’approvazione del farmaco nell’ambito delle indicazioni approvate e in piena osservanza di quanto contenuto nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP); è detta della “sorveglianza post marketing” perché viene attuata dopo l’immissione in commercio. In questa fase, che può durare qualche anno, si acquisiscono ulteriori e nuove informazioni e vengono valutate le reazioni avverse più rare, quelle che negli studi clinici non potevano emergere, ma che con l’uso di massa del nuovo farmaco possono diventare rilevabili».

L’associazione di scienziati Patto Trasversale per la Scienza (Pts) ha recentemente lanciato un appello per chiedere al Governo di aprire «una discussione pubblica e democratica sui criteri di distribuzione dei vaccini».

La distribuzione dei vaccini sarà di fatto parte di questa quarta fase. Contrariamente alla narrazione proposta dai No vax infatti, la comunità scientifica non farà altro che raccogliere dati e produrre studi epidemiologici, volti a cercare tracce di rari eventi avversi, che potrebbero manifestarsi nel lungo periodo. Superare la Fase 3 con successo, significa che parliamo di eventi talmente rari da rendere i vaccini più sicuri di prendere un aereo e attraversare la strada. 

«Gli effetti indesiderati riportati fino ad oggi sulle ca. 70.000 persone con i primi vaccini che saranno autorizzati sono di breve durata e si manifestano, in una piccola percentuale di soggetti – spiegano gli autori – con sintomi di lieve entità che vanno dal dolore nel sito di iniezione a mal di testa. In qualche raro caso (2%), però, i soggetti vaccinati hanno manifestato una sintomatologia più severa con febbre, spossatezza e rigonfiamento locale, tutti sintomi regrediti spontaneamente entro due giorni o facilmente controllabili assumendo un farmaco anti-infiammatorio. Anche questa eventualità non deve spaventare o indurre esitazione relativamente a questi vaccini perché è una reazione ben nota (“reattogenicità”) del nostro sistema immunitario alla vaccinazione».

Sì, ma abbiamo idea di come verranno distribuiti i vaccini? Hanno un costo per i sistemi sanitari, per quanto notevolmente basso rispetto a quel che richiede mantenere dei pazienti ricoverati durante tutto il periodo di cure; alcuni devono essere conservati a temperature notevolmente basse; le dosi saranno limitate non potendo permettere di coprire tutta una popolazione; infine ci sono paesi nel Mondo che potrebbero faticare più di altri a ottenere le dosi. 

Esiste comunque una quota di popolazione più a rischio di contrarre forme gravi: gli over 65 e i pazienti con patologie pregresse. Sulla distribuzione dei vaccini si ricorda anche un principio, sollevato recentemente dalla Accademia dei Lincei, occorre insomma «dare un senso concreto alla dichiarazione che i vaccini sono un bene pubblico globale». A chi dare dunque la priorità?

Gli autori dell’appello riportano e mettono in discussione le priorità annunciate dal Ministro della sanità: «prima operatori sanitari e sociosanitari, poi residenti e tutto il personale delle RSA. Successivamente, nell’ordine, anziani oltre gli 80 anni, persone oltre i 60 anni, categorie impegnate in servizi essenziali». Gli Scienziati vorrebbero invece porre l’accento soprattutto sugli over 65 con patologie pregresse.

«Noi PTS riteniamo che occorra aprire su questo tema una discussione pubblica e che la flessibilità e possibilità di correggere nel corso del tempo i criteri annunciati debba essere seriamente presa in considerazione, anche oltre l’esempio indicato dal Ministro – continuano gli autori – Dovrà naturalmente rimanere ferma la priorità assoluta per operatori sanitari e sociosanitari, scelta condivisa con le altre nazioni, che, tra l’altro, consentirà a questi professionisti di agire come “testimonial” pubblici dei vaccini, informando correttamente il pubblico circa i modesti e transitori effetti collaterali sempre possibili per qualsiasi farmaco allo stesso tempo rassicurando sulla loro sicurezza. Rispetto all’ordine delle categorie successive, informazioni aggiuntive saranno probabilmente fornite dalle ricerche in corso sulla consistenza e sulla durata dell’efficacia dei vaccini approvati, anche in relazione alle specifiche fasce di età. Anche per questo, flessibilità e discussione pubblica saranno importanti. In tale ambito, sarà importante non dimenticare che: esistono persone con meno di 60 anni, ma con importanti patologie, che – anche considerata la lunga aspettativa di vita – dovrebbero poter beneficiare di una significativa priorità di vaccinazione; alcune categorie professionali – ad esempio tutti gli operatori dell’università (e non solo della scuola) – svolgono un servizio fondamentale per il futuro dell’intera nazione, attualmente purtroppo erogato in larga misura solo a distanza».

Foto di copertina: geralt | Ricerca sui vaccini.

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